Mostra del Cinema di Venezia 2020: racconti dal Lido
Foto: TIZIANA FABI/AFP via Getty Images

Mostra del Cinema di Venezia 2020: racconti dal Lido

di Andrea Giordano

Dopo l’apertura con “Lacci” di Daniele Luchetti, la Mostra del Cinema di Venezia 2020 entra nel vivo regalando sorprese e delusioni. Il nostro inviato Andrea Giordano ci racconta i primi giorni del Festival.

Luci e ombre, luoghi e volti (i soliti), incastonati nell’edizione forse più malinconica e meno glamour di sempre. L’atmosfera che si respira tra il Palazzo del Cinema, l’Hotel Excelsior, il Casinò (sede anche di proiezioni, conferenze e sala stampa) e il Lungo Mare Marconi, appare chiaramente cambiata e inedita, nonostante i consueti (ma meno affollati) baracchini da birretta e spritz d’ordinanza, e una sensazione di “prima volta” in termini d’esperienza.

La ripartenza, avvenuta con Lacci di Daniele Luchetti (qui la nostra recensione), ha aperto la realtà di ogni giorno, e a nuovi scenari mascherati: il red carpet in primis, riservato ai fotografi (ma con un muro a dividere il pubblico per ovvie ragioni), dove oltre le delegazioni in questi giorni si sono alternati influencer noti e presunti, politici, cantanti, semplici spettatori paganti, eroine vere, come Alessia Bonari, l’infermiera diventata simbolo nella lotta contro il Covid, così gli accreditati (giornalisti, esercenti, cinefili) che presi nei rispettivi iter, a occhio nudo, sono diminuiti, parrebbe di almeno il 50%. Ma per fare i conti bisognerà aspettare la fine della manifestazione. E in fondo a mancare è proprio il colore, l’entusiasmo, a volte esagerato, coraggioso, di certi atteggiamenti visti in passato, grazie a orde di ragazzi e adulti pronti ad accamparsi nei sacchi a pelo e in giacigli improvvisati pur di non perdere la priorità della prima fila e il selfie di circostanza. La gente non manca comunque di “affollare” gli angoli e le strade, dove anche Tilda Swinton, Leone d’Oro alla carriera, passeggia mascherata, sola, verso la Masterclass, riconoscibile solo dal capello rosso. Al contrario arrivano i lati positivi: meno code, più rigore e fluidità, merito delle prenotazioni online e di una macchina più o meno collaudata a cui è impossibile sottrarsi.

Il distanziamento e i controlli a tappeto imperano, le feste dunque sembrano un lontano ricordo, la musica è meno ingombrante e filo(lievemente)diffusa. Ma niente paura: a rimanere sono le terrazze chic – ma informali come la Campari, meta di eventi calibrati e presentazioni – la Hollywood Celebrities Lounge, il ristorante capitanato dallo Chef Tino Vettorello, una presenza quest’anno rinnovata insieme ai suoi piatti, dallo Spago al Prosecco e il Tiramisù trevigiano. Via libera poi alle cene a inviti, questa volta meno chiassose, come quella dedicata alla pellicola The Man Who Sold His Skin, della regista tunisina Kaother Ben Hania, famigliare, raccolta, o quella del Premio Kineo, tenutasi nella Ca’ Sagredo di Venezia (tra gli ospiti premiati anche Oliver Stone e Mads Mikkelsen) che provano a rispolverare il caos calmo di un tempo, quello che si poteva vedere al “vecchio” leone Des Bains.

Nel frattempo la macchina cinematografica, il concorso e le sezioni collaterali hanno cominciato i loro programmi, regalando delusioni, sorprese, conferme, riflessione e dibattito. In passerella sono arrivati Pierre Niney, Adele Exchaopoulos, Stacy Martin, Pierfrancesco Favino, protagonista e produttore di Padrenostro, Abel Ferrara, Vanessa Kirby. E poi lei, Greta Thunberg, l’attivista svedese, ormai diventata volto tra i volti più globali e leader carismatica, che partecipa da casa, collegata in Zoom, in una breve pausa di lezione, nella presentazione del documentario a lei dedicato, Greta, diretto da Nathan Grossman. Un anno da ripercorrere, dall’agosto 2018 al 2019, in cui la bambina nata a Stoccolma, si racconta, e viene raccontata, nella sua ascesa, come voce ed emblema generazionale sensibilizzando i temi legati al cambiamento climatico. Nell’incontrare i potenti del mondo (Macron, il Papa) si confronta con chi la accusa (Trump, Bolsonaro), partecipa a manifestazioni, parla alle Nazioni Unite, scoprendo, però, il suo lato più personale e timido, e quello dell’Asperger. Una responsabilità troppo grande per una ragazzina, dice, ma che porta avanti rilanciando «non dovrebbe spettare a noi comunicare questa crisi, e invece oggi è riposta nei bambini e scienziati». Per poi ammonire gli scettici, credenti alla manipolazione mediatica «no, mi dispiace rappresento le mie idee, e decido per me stessa».

Discorso a parte riguarda i colpi di fulmine, i titoli in grado di far pensare, e magari tornare in sala il giorno dopo, consapevoli, così i tormentoni. Mainstream, secondo lavoro di Gia Coppola, nipote del grande Francis Ford, esplode infatti come un ordigno creativo e visivo, in cui Andrew Garfield e Maya Hawke fanno i conti con il lato oscuro della rete, i social, il loro abuso e potere, la follia virtuale (bodyshaming, bullismo) con cui spesso la cronaca si confronta. C’è il cortometraggio barocco di Pedro Almodòvar, girato post lockdown, La voce umana, protagonista lei, Tilda Swinton, nel libero adattamento dell’opera omonima di Jean Cocteau. Un trionfo personalizzato di cromatismi, stile, che quasi strizza l’occhio al trend dei fashion movie, in cui una donna dà vita all’abbandono, lo combatte, e alla fine si vendica. E ancora: The Duke, commedia in stile british, firmata dal regista di Notting Hill, Roger Mitchell, con Helen Mirren, e soprattutto Jim Broadbent, a narrare la vera storia di Kempton Bunton, pensionato – Robin Hood, che nel 1961 fu accusato del furto del dipinto di Goya, Portrait of the Duke Ellington. Oppure c’è Miss Marx, ritratto rock (bella scoperta la musiche dei Downtown Boys), confezionato internazionalmente da Susanna Nicchiarelli, con una sontuosa Romola Garai, nei panni di Eleanor Marx, figlia minore di Karl. Un mix storico, grazie alle lettere ritrovate, i documenti, diviso tra melò, impegno politico, femminismo, lotte operaie, avvolto com’è da sentori di Madame Bovary e Sofia Coppola. O, infine, Quo Vadis, Aida?, corposo e duro spaccato sulla strage di Srebrenica, tra i papabili, oggi, ai premi importanti.