Festival di Venezia 2020: i “Lacci” di una coppia in cerca di se stessa
Courtesy of Gianni Fiorito

Festival di Venezia 2020: i “Lacci” di una coppia in cerca di se stessa

di Andrea Giordano

“Lacci”, il nuovo lavoro di Daniele Luchetti, tratto dal romanzo di Domenico Starnone, apre ufficialmente la 77esima Mostra del Cinema di Venezia. Un ritratto amaro e autentico di una coppia in crisi, portata in scena dalla bravura di Alba Rohrwacher, Luigi Lo Cascio, Silvio Orlando e Laura Morante.

La Mostra del Cinema di Venezia numero 77 riapre i battenti internazionali attraverso lo sguardo attento di Daniele Luchetti, grazie proprio al suo ultimo lavoro, Lacci, in sala ufficialmente dal 1° ottobre. Tratto dall’omonimo romanzo letterario di Domenico Starnone (edito da Einaudi nel 2014), coinvolto nella sceneggiatura insieme a Francesco Piccolo e lo stesso regista, la storia racconta soprattutto due protagonisti: una coppia, marito e moglie, Aldo e Vanda. Sposati da 12 anni, con due figli, vivono la loro esistenza (apparentemente felice) in una Napoli anni ‘80 (in originale il libro è ambientato negli anni ‘70), senza sapere che il cambiamento – quello radicale, talvolta feroce – dei sentimenti in gioco sta per mutare completamente e in maniera inaspettata. Lei insegna da precaria nelle scuole, lui prova a sfondare alla radio in un programma dedicato ai libri, a Roma. La passione di un tempo sembra vacillare di fronte alla monotonia di un rapporto forse al capolinea, privo di euforie, obiettivi e intenti comuni, e per qualcuno diventa rottura, desiderio di andarsene, provare a ricominciare.

Riannodare i sentimenti, nonostante le difficoltà, i tradimenti, i sogni che non collimano più: ecco allora i ‘lacci’, quelli di una vita intera, che a volte possono farci inciampare nei rimpianti di quello che avremmo potuto fare, e invece non abbiamo voluto provare a dirci. L’amore come ancora di salvezza diventa parallelamente un’arma a doppio taglio, amara, il microcosmo concreto sulle relazioni, capace di insegnare ulteriormente quanto la famiglia sia il contesto di analisi di un mondo di un tempo, del passaggio generazionale. E il film si muove proprio in questo senso, vede “crescere” nelle sue evoluzioni ogni individuo, travolto dalle loro stesse domande prive di risposta. La scrittura di Starnone si traduce così in azione e tensione visiva, sconfina oltremodo nella paura, in reticenza, rabbia, cinema–verità, prova a mettere in luce il disordine e a ricucirne i buchi. Alba Rohrwacher (assente al Lido) e Luigi Lo Cascio, gli Aldo e Vanda di questo viaggio, fanno il resto, bravissimi a passare poi il testimone a Silvio Orlando e Laura Morante, 40 anni dopo, sempre loro, rimasti insieme, nonostante tutto, il tradimento, la noia, le ripicche, i figli (Adriano Giannini e Giovanna Mezzogiorno, che ormai adulti sveleranno il lato più agrodolce di tutto),i dolori, le parole, anche gli oggetti, le cose fuori dalla porta, spunto di memorie mai dimenticate.

Amore e odio, lealtà e vergogna, scandiscono le stagioni fredde (e turbolente) di una coppia in crisi, ma che in effetti sente la necessità, ad un certo punto, di ristabilire una forma di equilibrio. Ma è un attimo, un’illusione, è una musica barocca, contraddittoria (scelta tra le variazioni Goldberg di Bach e Lasciati baciare con il letkiss, pezzo portato alla ribalta poi dalle Kessler), è una bugia, una fotografia ritrovata, nascosta per vendetta. Luchetti, già sensibile all’orizzonte dei nuclei genitoriali (da Mio fratello è figlio unico, La nostra vita o Anni felici) scivola nuovamente nell’argomento “famiglia”, portandoci, però, al suo interno, un mondo fatto di dialoghi, di scenate (pure improvvisate), di silenzi, quelli più “urticanti”, di esplosione tardiva e repressa per troppo tempo ma anche del coraggio delle reazioni. Lacci non è un film solo sull’universo maschile o femminile, si rivolge invece a ognuno di noi, rinunciando a esortare nel prendere una posizione, smontandone semmai i meccanismi e rimettendoli in circolo.

“Talvolta bisogna parlare poco, forse avremmo dovuto stare più zitti” dice a un certo punto Lo Cascio. C’è tutto, o quasi, in questa frase, che narra della rassegnazione di chi non ha più voglia di condividere, di chi ha smesso di credere, che forse ha voglia di ristabilire comunque un futuro. Già, ma a che prezzo? Quale futuro? Quello che Lacci prova a riprendere in mano, a rimettere in sesto, facendo i conti con chi davvero ha sofferto, e adesso si è stufato di non sentire la propria voce.