L’architettura secondo Diébédo Francis Kéré
Kéré Architecture, Xylem. Photo courtesy of Iwan Baan. Courtesy of The Pritzker Architecture Prize

L’architettura secondo Diébédo Francis Kéré

di Digital Team

Per la prima volta nella storia, la più alta onorificenza internazionale per l’architettura è stata attribuita a un architetto africano. La storia e i progetti di Diébédo Francis Kéré, vincitore del Pritzker Architecture Prize 2022

Istituto nel 1979 dalla Hyatt Foundation, il Pritzker Architecture Prize è il più prestigioso riconoscimento architettonico al mondo. Per la prima volta nella sua storia, lo scorso 15 marzo è stato attribuito a un architetto originario dell’Africa: Diébédo Francis Kéré. Nato nel 1965 nel villaggio di Gando, in Burkina Faso, nel 2005 ha fondato lo studio che porta il suo nome, con sede a Berlino, città in cui ha avuto luogo la sua formazione. Kéré è intimamente consapevole che l’architettura non riguarda l’oggetto ma l’obiettivo; non il prodotto, bensì il processo‘, ha osservato la giuria nella motivazione che accompagna il premio, sottolineando la sua capacità di ‘rafforzare e trasformare le comunità attraverso il processo dell’architettura‘. 

Diébédo Francis Kéré, photo courtesy of Lars Borges. Courtesy of The Pritzker Architecture Prize
Diébédo Francis Kéré, photo courtesy of Lars Borges. Courtesy of The Pritzker Architecture Prize

Nella triplice veste di architetto, docente e social activist opera da anni in aree geografiche svantaggiate o particolarmente complesse per ragioni di ordine sociale, economico e, non da ultimo, climatico. Anche attraverso la Kéré foundation, attiva dal 1998, l’architetto si adopera in prima persona per sanare carenze edilizie e infrastrutturali del suo Paese. Parallelamente, con lo studio Kéré Architecture lavora anche in altri ambiti in Europa e negli Stati Uniti senza mai tradire le sue origini, la sua visione e il suo distintivo vocabolario di forme, materiali e visioni spaziali. ‘Spero di cambiare il paradigma, di spingere le persone a sognare e a rischiare. Non è perché sei ricco che dovresti sprecare materiale. Non è perché sei povero che non dovresti cercare di creare qualità‘, ha affermato il vincitore del Pritzker Architecture Prize 2022.

I progetti di Diébédo Francis Kéré

Molte delle opere realizzate (o progettate) da Kéré e dal suo team si trovano in Africa, localizzate nella Repubblica del Benin, in Mali, Togo, Kenya, Mozambico, Togo, Sudan e, naturalmente, nel ‘suo’ Burkino Faso. Proprio da qui ha preso avvio la sua carriera di architetto, con un edificio paradigmatico del suo approccio. Si tratta della Gando Primary School (2001), un complesso scolastico che sintetizza la sua visione di architetto e di persona desiderosa di rispondere in modo concreto a bisogni essenziali, come l’accesso all’istruzione. In questo caso, Kéré non si è limitato a progettare una scuola in grado di assicurare a docenti e studenti condizioni di benessere indoor, a livello di ventilazione e illuminazione, contrastando le sfidanti condizioni climatiche locali. Ha anche promosso una raccolta fondi a livello internazionale per la sua costruzione. Non solo: scegliendo di adottare tecniche costruttive standardizzate e accessibili ha previsto il coinvolgimento delle maestranze locali, con ricadute a livello occupazionali nella comunità del suo villaggio. Un’esperienza che non ha mancato di attirare l’attenzione degli addetti del settore e che nel 2004 gli è valsa l’Aga Khan Award for Architecture, il premio riservato alle opere realizzate in paesi islamici o di origine islamica.

Da Londra alla California, fino all’Italia

Attualmente impegnato nella costruizione di due importanti opere pubbliche – la sede dell’assemblea nazionale del Benin e l’edificio omologo in Burkina Faso, nella città di Ouagadougou – Diébédo Francis Kéré è attivo anche oltre i confini dell’Africa. Negli ultimi anni, infatti, in Danimarca, Germania, Italia, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti sono stati realizzati (o sono in procinto di esserlo) padiglioni e installazioni a sua cura. Pur nella loro eterogeneità, a unificare questi interventi sono riferimenti alla cultura burkinabé o africana. Nel caso dell’installazione site-specific Xylem (2019), parte integrante del Tippet Rise Art Center in Montana, l’architetto ha tratto ispirazione dai tradizionali toguna, edifici tipici della comunità Dogon, in Mali; nel rispetto dei materiali disponibili in loco, ha impiegando una varietà di legno di pino sostenibile e di provenienza statunitense.

A suscitare ulteriori consensi sono stati due recenti progetti concepiti come temporanei: il Serpentine Pavilion (2017) per la Serpentine Gallery di Londra, e il Sarbalé Ke (2019), presentato al Coachella Valley Music and Arts Festival, in California. Intrisi di simbolismo, entrambi rimandano, seppur con distinte modalità, alla tradizione diffusa in Africa occidentale di ritrovarsi e conversare sotto a un albero sacro. A partire dal prossimo 20 maggio, anche in Italia, sarà possibile ‘conoscere da vicino’ un’architettura concepita da Kéré: l’architetto è stato infatti scelto come progettista dell’allestimento della 23ª Esposizione Internazionale di Triennale Milano, dal titolo Unknown Unknowns (Quello che non sappiamo di non sapere), che resterà visitabile per un intero semestre.