Condensare i codici della creatività: un nuovo libro ripercorre la storia di Paul Smith in 50 oggetti

Condensare i codici della creatività: un nuovo libro ripercorre la storia di Paul Smith in 50 oggetti

di Marta Galli

Paul Smith celebra il traguardo dei 50 anni del suo brand con il lancio della Paul Smith’s Foundation e con un libro che racconta la sua avventurosa vicenda nella moda in 50 oggetti. Ne abbiamo selezionati alcuni per voi (assieme a qualche simpatica storia).

La prima bici
Una bicicletta. Comincia sempre così il racconto dell’avventura di Paul Smith. A cavallo di due ruote – la prima Paramount azzurra gliela regala da ragazzino papà Harold – mentre sogna di diventare un ciclista professionista. Ma intanto, a 17 anni, Paul lavora per un grande magazzino e un giorno, sulle due ruote, ha un incidente. Un incidente non da poco: il femore rotto, qualche costola compromessa, pure il naso. I suoi progetti sportivi finiscono nel letto dell’ospedale di Nottingham dove viene ricoverato. Con la gamba in trazione, ci rimane per tre mesi. Sembra la fine e invece è solo un nuovo inizio. Durante la convalescenza in ospedale ha conosciuto dei ragazzi e ora si danno appuntamento al bar the Bell, nel centro del paese. Paul si accorge che quel posto è frequentato da gente molto diversa da quella a cui era abituato lui: studiano arte, grafica, moda. Un nuovo mondo gli si dischiude davanti.

Sedie comme il faut
Qualche anno più tardi, per Paul Smith sono cambiate molte cose. Prima era un giovanotto spensierato che si preoccupava solo di pedalare, adesso si divide tra il lavoro di designer freelance per sbarcare il lunario e una sua piccola linea di abbigliamento. Adesso ha anche due pastori afgani, due gatti e due figli! I figli, in realtà, sono di Pauline (e anche i cani e i gatti), una giovane professoressa della scuola d’arte di Nottingham con i capelli rossi e sempre ben vestita. Ma ormai vivono tutti assieme e sono una grande famiglia. È con lei che Paul crea la sua collezione. Siccome sa che per avere successo nella moda bisogna presentare i propri vestiti a Parigi, ci va. Trova un escamotage. Non avendo i soldi per affittare una location, come la chiamano adesso, organizza la sfilata a casa di due amici generosi. Può darsi che l’appartamento non sia un granché – hanno dovuto accantonare i mobili per fare posto agli invitati – però non lesina sulle sedie per fare accomodare i suoi ospiti. Affitta quelle classiche da haute couture: dorate con il velluto rosso. Paul Smith ha contato soddisfatto 35 presenti, inclusi i buyer dei più importanti department store americani.

Quel completo di velluto
Venuti i cosiddetti tempi della Swinging London, Paul è a Londra. C’è un negozio a Camden Town che sta rivoluzionando la moda maschile: Granny Takes a Trip. Ci vanno a fare shopping anche i Beatles e i Rolling Stones e i proprietari di questo negozio hanno un gusto che oggi definiremmo “dandy”. Forse viene dal loro background di persone “cresciute in case di campagna tra feste e balli delle debuttanti, con un guardaroba diverso per la città e la campagna” come racconta Paul Smith. Utilizzano tessuti che non sono mai stati impiegati per abiti da uomo – in particolare il velluto che viene venduto a rotoli, probabilmente per le tende – per farne abiti da giorno. È certamente un vezzo stravagante. Ma a Paul piace tutto questo sfoggio di personalità e lo fa suo, specialmente quando scopre in Francia una tessitura specializzata in quella particolare lavorazione del velluto chiamata devoré. Assimilata, elaborata, mai abbandonata, l’eccentricità (a piccole dosi) entra a far parte del Dna del marchio.

Gli spaghetti di cera
Quando i ciliegi sono in fiore di solito Paul Smith si trova in Giappone. È uno dei suoi mercati più affezionati e lui ci va tutti gli anni, anche più volte l’anno. Spinto da irrefrenabile curiosità è riuscito anche a scovare, a Tokyo, il posto in cui fabbricano quel cibo finto e iperrealista, che poi si vede esposto nelle vetrinette dei ristoranti. Sono oggetti fatti in cera e l’attenzione al dettaglio è maniacale. Se n’è tornato a casa con uno di questi, un piatto di spaghetti al sugo con una forchetta planata sopra, che a Paul ricorda molto Salvador Dalí. L’ha quindi usato, non si sa quante volte ormai, per allestire le sue vetrine. “È un buon esempio di come a volte ho giocato con le idee di kitsch e di bello; di buon gusto e cattivo gusto”.

Una valigetta con sorpresa
Comunque, è dal 1983 che Paul si reca regolarmente in Oriente e, un po’ anche per le difficoltà con la lingua, le riunioni risultano sempre piuttosto faticose. È così che una volta si è presentato munito di una valigetta in metallo. Apparentemente una valigetta da professionista, ma con un trenino elettrico che si muove nel set di un paesaggio di montagna montato all’interno e, al momento più insostenibile della riunione, ha aperto la valigetta con la sorpresa dentro. Inutile dire che sulle facce dei presenti s’è stampata un’espressione d’incredulità. Salvo che, sei mesi più tardi, erano tutti ansiosi di sapere dove fosse la valigetta. E questo ha insegnato qualcosa a Paul sul potere dell’umorismo.

La macchina fotografica Kodak
Facciamo di nuovo un salto indietro, ai tempi in cui Paul Smith è ancora un bambino. Vede il padre spesso rinchiuso, quando non lavora, nella camera oscura che ha allestito nel sottotetto di casa intento a sviluppare le pellicole. Anche Paul è attratto da quel mondo, e non tanto quello buio e misterioso delle soluzioni chimiche, ma quello luminoso delle immagini. A casa le fotografie sono sparse ovunque e, com’è giusto, anche lui (per il suo undicesimo compleanno) riceve una macchina fotografica, una Kodak Retinette, in regalo. Fotografare rimarrà sempre una delle sue più grandi passioni. Ma veniamo ora agli anni 90. Paul è un affermato stilista e si trova a Milano per la consueta fiera dei tessuti, dove vede qualcosa di straordinario: la Torre di Pisa su una tovaglia! Be’, non un disegno o un ricamo; la Torre di Pisa, quella vera, fotografata e stampata su una tela lavabile. “Quando ho scoperto che si potevano stampare le fotografie sul tessuto ho iniziato con qualcosa di molto comune e di molto familiare, che aveva per me la forma di una mela verde, e che infondo mi è sempre sembrata così scultorea e così bella!” Ma le camicie e i capi di abbigliamento su cui Paul stampa le mele, di ordinario non hanno proprio niente. Queste stampe sono anzi diventate così iconiche nella sua produzione che sarebbe stato un peccato non riproporle. E infatti sono protagoniste quest’anno della capsule collection che celebra il cinquantesimo anniversario del marchio Paul Smith.

Una collezione di scatolette dei fiammiferi
Si dice feticcio di un oggetto di culto. Nella nostra società prosaica indica spesso un oggetto senza valenze magiche o sacre, ma investito di grande carica emotiva perché è la sineddoche di qualcosa che provoca in noi una qualche forma di esaltazione. Ecco, i calzini, i boxer o anche le matite e altre chincaglierie che si trovano nei negozi Paul Smith assumono perfettamente questa funzione perché, in uno spazio relativamente piccolo, sono in grado di condensare i codici della creatività del marchio. Paul ha capito che anche superfici molto ridotte possono essere il territorio di affascinanti espressioni creative e lo ha notato ad esempio in oggetti di uso quotidiano come le scatoline dei fiammiferi, che lui tra l’altro colleziona (“perché mi fanno pensare a quanti modi diversi esistano per disegnare lo stesso oggetto”). Le famose “stripe”, le righe colorate di Paul Smith, rivisitate nel tempo con nuance differenti, sono la forma più compatta di questa capacità di sintesi. Ce lo ricordano sempre dettagli minuti come le fettuccine sulle cuciture delle sue giacche: “È intrigante: è sufficiente un oggetto minuscolo per dire chi sei!”.

“Paul Smith” è edito da Phaidon con testi introduttivi di Tony Chambers e Jonathan Ive e contributi di Tadao Ando, Manolo Blahnik, James Dyson, James Fallon, Inès de la Fressange, Martin Parr, John Pawson e Alice Rawsthorn.