Philippe Starck: dalla padella alla pace
@delfinosistolegnani

Philippe Starck: dalla padella alla pace

di Gianluca Cantaro

Perché con Philippe Starck, sempre ironico e brillante, si può parlare di tutto. E, tra facezie e battute, la sua analisi dei tempi è sempre profonda e aiuta a capire che cosa (e perché) accadrà

In tempi complicati l’ironia può essere uno strumento per viverli con un po’ più di leggerezza. Lo sa bene Philippe Starck che ne ha fatto il suo segno di riconoscimento. Il designer, parigino, classe 1949 e figlio di un ingegnere aeronautico, ha iniziato creando mobili gonfiabili per poi, nel corso di una lunghissima carriera, progettare di tutto: dall’iconico spremiagrumi Juicy Salif per Alessi (1990), all’Hotel Costes di Parigi, del 1984; dallo yacht Venus di Steve Jobs, del 2012, al palazzo a forma di boccale dell’Asahi Beer Hall a Tokyo, quartier generale del birrificio giapponese Asahi, 1989. Per questo mi è venuto spontaneo chiedergli quanto fosse importante l’umorismo per lui. «Non sono intelligente, perciò ho sviluppato un fascino per l’intelligenza umana; una delle sue espressioni migliori è l’umorismo», risponde tra il serio e il faceto. Siamo in conversazione anche per parlare del nuovo progetto che ha sviluppato con Alessi, centenaria impresa specializzata nei complementi d’arredo, soprattutto da cucina, con cui collabora da quasi 40 anni (l’anno prossimo ricorre l’anniversario del cavatappi Smoki Christiani, by O.W.O. / Alessi, primo oggetto realizzato nel 1984); la nuova creazione di Starck è una sedia che deriva da una padella, fatta di metallo e legno. Può pure essere una metafora dei tempi difficili che stiamo vivendo che, in qualche modo, ci stanno “grigliando”? «Potrebbe, ma c’entra di più lo spirito di Alberto Alessi, che sembra molto serio, ma ha un profondo senso dello humour. 

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Philippe Starck

Un giorno mi ha dato un foglietto con un disegno molto brutto fatto da lui dicendomi: “Nel dna dell’azienda ci sono gli oggetti per la cucina, così ho fatto questo schizzo: perché non progettiamo una sedia con lo stesso metodo e gli stessi strumenti che si usano per fare una padella?”. Ho pensato che fosse divertente e sfidante, così ho accettato, come fosse un gioco tra amici, che però si è trasformato in un incubo», prosegue Starck. «Non per lui, ma per il fatto che sembrava di semplice realizzazione, un’aspettativa poi disillusa. A volte, trasporre le idee nel mondo reale, soprattutto nel mondo dell’acciaio, non è così immediato».

La collezione Poêle, (“padella” in francese), comprende una sedia, due sgabelli (uno alto e uno basso), e un attaccapanni, tutti in acciaio inox 18/10 lucido e struttura in legno di faggio, con diverse finiture. «Per mesi abbiamo lavorato millimetro dopo millimetro per trovare le curvature, lo spessore e la profondità perfetti. A volte bisogna trattare i problemi seri con leggerezza e le cose leggere con serietà ed è quello che abbiamo fatto. Così siamo arrivati alla soluzione». Starck trasmette la passione che ha sia per il suo lavoro sia per le persone con cui collabora, ma come può un rapporto durare così tanto e restare vivo e prolifico? «È come per la vita di coppia, se non c’è umorismo e non c’è amore durerà tre mesi o al massimo tre anni. Noi non lavoriamo insieme, ci limitiamo a giocare. Abbiamo entrambi la stessa età: 16 anni. Il segreto è rimanere bambini, infatti penso che morirò troppo giovane», ironizza. Chiedo quale sia la cosa che secondo lui non è stata mai progettata. «Sicuramente la pace, è impossibile trovarla. Da che ho memoria, c’è sempre stato un conflitto nel mondo. Oggi, nel crollo assoluto di molti ideali, è come negli anni 80 e 90, quando la situazione sembrava più serena, democratica e intelligente, ma c’erano comunque delle guerre», spiega. «L’amore in qualche modo ce l’abbiamo tutti: chi non ne è interessato, chi non è in grado di gestirlo, chi è felicemente innamorato, addirittura chi non ce l’ha, ma lo insegue. La pace no. Però, se penso a un futuro senza guerre, mi rattristo perché magari ci sarà una società guidata dal Gafa (acronimo per Google, Apple, Facebook e Amazon, ndr) dove tutto sarà normalizzato e, se non si è d’accordo, si viene disconnessi. Non sarebbe più necessario uccidere o combattere per qualcosa, basterà essere disconnessi. Continuo a chiedermi cosa preferirei». Cosa, appunto? «Non so cosa scegliere».

@delfinosistolegnani

nvece, alla domanda su quale sarebbe il progetto che avrebbe voluto fare risponde con un fermo «Niente. Purtroppo appartengo a una generazione per la quale l’abitudine era quella di trasformare le idee in cose materiali, e mi viene spontaneo farlo. Vorrei far parte di una generazione più giovane e avere idee e servizi senza materialità. Ora non sento quasi più il desiderio di produrre cose materiali», sottolinea Starck. Su questa analisi riflettiamo sulla necessità e quantità produttive oggi, non solo nell’arredo, ma in tutti i settori. Parlando di ambiente, uno dei grandi temi contemporanei, la domanda è naturale: cosa può fare il design? «È un argomento che mi sta molto a cuore e ne parlo spesso. Indipendentemente dal design, penso che ci siano un paio di cose molto semplici che tutti possiamo fare», spiega. «Innanzitutto, prima di ogni acquisto, chiederci se veramente ne abbiamo bisogno ed essere onesti con sé stessi. Se lo si è, ci si rende conto che nell’85% dei casi non ci serve. Pensate a quante cose non accumuleremmo». E continua: «La seconda, che completa il tutto, molto simile, ma non così radicale, è comprare il 10% in meno di ogni cosa: yogurt, vestiti, benzina, eccetera. Per noi sarebbe irrilevante, ma se tutti lo facessero cambierebbe il mondo. Abbiamo in tasca almeno due soluzioni facili, ma richiedono responsabilità personale e onestà con noi stessi. È molto difficile, io stesso ci provo, ma non sempre ci riesco», ammette, quasi amareggiato.


Philippe Starck

Ma sicuramente il tema ambientale è anche un metro di selezione per i progetti che accetta di seguire. «Ho creato la mia azienda 40 anni fa e nessuno ne parlava. Ma io avevo l’idea di crearla eticamente; così, per valutare una proposta capiamo se il richiedente vuole fare qualcosa per gli altri o soltanto per un profitto personale. Nel secondo caso, o anche se fosse solo un profitto per me, non andiamo avanti», sottolinea. «Cerchiamo di realizzare progetti utili per noi in funzione di un’evoluzione costruttiva, ora sempre più importante. In tutta onestà posso dire che abbiamo perso una grande quantità di introiti rifiutando commesse economicamente interessanti, ma non avevano scopi conformi alle nostre idee, anche se purtroppo il cinismo vende ancora molto bene. Ma l’urgenza della situazione globale obbligherà anche il design a servire le persone nel modo più intelligente. Dopo 30 anni di formalismo e design alla moda, spero che le nuove generazioni tornino all’essenza, alla politica, alla lotta».