Gola profonda e l’eterna Lovelace

Gola profonda e l’eterna Lovelace

di Santi Urso

L’icona del porno, dopo 40 anni, resta un mito senza uguali. E con il nuovo film torna alla ribalta

Ok, la ragazza è giusta! Il senso di Amanda Seyfried per lo scandalo è un dono di natura. E lei non lo spreca. Si è annunciata tre mesi fa, quando, protagonista del musical Les Misérables (e già nota per le qualità canore in Mamma Mia!), dichiarò: “Canto bene perché immagino di fare sesso orale. Quando sento di avere un pene ben dentro la gola, fino alla laringe, quello è il momento che mi esprimo meglio”. Commercialmente parlando, era un abile ‘paghi uno prendi due’. Il vero scopo era il link promozionale con un altro suo film: Lovelace, la biografia filmata della più celebre delle pornostar , in uscita il 9 agosto, dopo essere stata presentata in prestigiosi festival come il Sundance e la Berlinale.

Linda Boreman, in arte Lovelace, per ottenere iniziali uguali, come BB (la Bardot), CC (la Cardinale), MM (la Monroe), è passata alla storia per Deep Throat, Gola profonda, un tipo di film che nella storia ufficiale del cinema è come la cometa di Halley, che se va bene si vede una volta ogni 75 anni.

Deep Throat, diretto da Gerard Damiano nel 1972, iniziò il suo tribolato giro del mondo 40 anni fa giusti, nel gennaio del 1973, partendo dalla disinibita Svezia, e mettendoci oltre tre decenni a farsi vedere quasi soltanto dalle platee europee: negli Stati Uniti ha avuto guai in 11 Stati e in Italia è arrivato nel 1976 col titolo La vera gola profonda, perché nel frattempo da noi era uscito un Gola profonda di Joe Sarno, in realtà blando sequel del film di Damiano.

Finora non è apparso all’orizzonte niente di simile, e forse, peggio che la cometa (attesa per il 2064), non si vedrà mai più. Perché il plot di Deep Throat è troppo spinto?

Sì, era la risposta giusta, negli anni Settanta. Era un vero film pornografico, alleggerito da un goliardico senso dell’umorismo che rendeva presentabile il kamasutra di Linda Lovelace, infinitamente appagata dall’auparishtaka (il pompino in sanscrito), perché, ormai lo sanno tutti, aveva la clitoride in gola.

No, è la risposta al giorno d’oggi, perché è Disneyland in confronto a quel che abbiamo visto dopo, e che ci ha abituato a emozioni ben più forti.

Il film con Amanda Seyfried restituisce bene il clima dell’epoca, che coincideva con una spensierata, e per molti versi scriteriata, stagione di trionfante libertà. Hollywood era da poco uscita dalle costrizioni del cosiddetto ‘codice Hays‘, che per indicare cosa fosse moralmente accettabile stabiliva, per esempio, l’invisibilità dell’ombelico: il diamantino di Kim Novak in Baciami stupido, non era seduzione, era censura.

La vita stessa di Linda Lovelace scandirà i passaggi di quel tempo, dall’illusione alla delusione che farà schierare apertamente l’attrice contro l’industria dell’hard (e Lovelace non fa sconti a Chuck Traynor, il violento marito attore e manager del porno, impersonato da Peter Saarsgard). Il rapido tramonto di Linda, uccisa nel 2002, a 53 anni, da un incidente d’auto a Denver, in Colorado, era contrappuntato, nella fiction, dall’escalation di sesso via via più estremo ed esplicito, inaugurato, da questa parte dell’oceano, in contemporanea con Deep Throat: Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci è anch’esso girato nel 1972, Histoire d’O è del 1975, mentre tra gli esiti recenti vale la pena di ricordare Romance, del 1999, e Shame, del 2011.

Le acrobazie orali di Amanda Seyfried mantengono un alto tasso di scandalo, ma, quasi certamente, il dibattito, una volta acceso intorno ai grandi temi morali della libertà sessuale, oggi riguarderà soltanto la preferenza. Amanda/Linda è portabandiera del blow job. Piacerà a chi invece trova che siano più goduriose le attenzioni divulgate, non per fiction, da Michael Douglas?

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