Grande attesa per il ritorno in Italia di The Who, King Crimson e The Cure

L’estate 2016 è stata davvero indimenticabile per gli appassionati delle sette note, con numerose stelle di prima grandezza che si sono esibite nel nostro Paese: da David Gilmour a Santana, da Rihanna a Beyoncé, da Bruce Springsteen a Sting, solo per citarne alcune.

Anche l’autunno si preannuncia ricco di concerti interessanti, dal tour per i 50 anni di carriera degli Who,  inscalfibili araldi del rock inglese, fino alle atmosfere languide e sognanti di Norah Jones. Ecco, secondo noi, i 5 concerti più interessanti.

The Who

Alla fine del 2015 è partito da Glasgow il tour celebrativo del cinquantennale degli Who, alla fine del quale è prevista l’uscita di un nuovo album di inediti. Portabandiera del movimento Mod nell’Inghilterra degli anni Sessanta, gli Who hanno innalzato il rock da mero intrattenimento a forma d’arte con le rock opera  Tommy e Quadrophenia, prima album di culto e poi film di successo. L’alchimia perfetta tra l’esuberanza vocale del frontman Roger Daltrey, le rivoluzionarie intuizioni compositive di Pete Townshend, l’irruenza percussiva di Keith Moon e il virtuosismo del bassista John Entwistle hanno permesso agli Who di vendere oltre 100 milioni di dischi e di essere l’unico gruppo ad aver partecipato a tutti i grandi raduni rock degli ultimi cinquant’anni, tra cui Woodstock. Nonostante la morte di Keith Moon, avvenuta nel 1978, e di John Entwistle, nel 2002, Roger Daltrey e Pete Townshend continuano a portare avanti il verbo del rock negli ultimi concerti di una carriera straordinaria, con due date in Italia il 17 settembre a Bologna e il 19 settembre a Milano.

The Cure

I Cure, dopo tre anni di assenza dall’Italia, si esibiranno in quattro imperdibili concerti a Bologna (29 ottobre), Roma (30 ottobre) e Milano (1 e 2 novembre).Sono davvero pochi i gruppi rock che hanno avuto un’influenza decisiva in un determinato periodo storico, creando decine di epigoni. Si contano, infine, sulle dita di una mano le personalità che, in ambito musicale, riescono a  diventare vere e proprie icone, tanto da ispirare la figura del protagonista del pluripremiato This must be the place di Paolo Sorrentino. E’ il caso, quest’ultimo, di Robert Smith, chitarrista e indiscusso frontman dei Cure, uno dei personaggi più carismatici degli ultimi trent’anni. L’amore che finisce, le aspettative deluse e il desiderio di cose impossibili sono le tematiche più ricorrenti della poetica dei Cure, un gruppo che, forse con troppa superficialità, è stato ascritto negli angusti confini del dark. «Tutto quello che faccio –sottolinea Robert Smith- lo faccio al calare del buio, ma non sono strano né triste».

Red Hot Chili Peppers

Una carriera trentennale all’insegna del crossover tra funk, hip-hop e rock e melodia, i Red Hot Chili Peppers hanno attraversato diverse fasi e cambiato più volte formazione, a causa della morte per overdose di eroina del chitarrista Hillel Slovak e gli addii del batterista Jack Irons e del chitarrista John Frusciante. Nel 1991 il capolavoro Blood Sugar Sex Magik, contenente i classici Under The Bridge,Suck My Kiss e Give It Away, ha lanciato definitivamente la loro carriera, consolidata otto anni dopo da Californication, più melodico e pop rispetto ai lavori precedenti. Dopo due album poco ispirati come Stadium Arcadium e I’m With You, osteggiati apertamente dai fan della prima ora, i RHCP sono tornati alla grande con il convincente The Getaway, un album riflessivo, denso e malinconico, pubblicato il 17 giugno, che si avvale della produzione di Brian Joseph Burton aka Danger Mouse, mentre il missaggio è stato affidato a Nigel Godrich, collaboratore di lunga data dei Radiohead. C’è grande attesa per il ritorno dei Red Hot Chili Peppers in Italia con due concerti, l’8 ottobre e Bologna e il 10 ottobre a Torino.

King Crimson

«I King Crimson  non sono mai stati una band qualsiasi – ha aggiunto Tony Levin- ma un gruppo particolarmente impegnativo. La sua essenza consiste nello sfidare continuamente se stessa, e nel pungolo che ognuno dei suoi componenti pone agli altri musicisti». I King Crimson hanno fatto la storia del progressive e del rock, durante il corso della loro carriera hanno influenzato  e ispirato molti artisti  contemporanei  dai diversi generi musicali,  creando  una sorta di culto attorno al loro nome. La formazione si è continuamente modificata e, negli oltre quarant’anni di attività del gruppo, si sono avvicendati al suo interno ben diciotto musicisti più due parolieri. Il suono crimsoniano, frutto della geniale intuizione di coniugare le strutture armoniche del progressive con l’improvvisazione del jazz, è l’uncia vera  costante della loro carriera. C’è grande attesa per il loro ritorno nei più prestigiosi  teatri europei, con la formazione al compoleto che prevede, insieme al Leader  Rober Fripp, il sassofonista Mel Collins, Tony Levin al basso, Jakko Jakszyk alla chitarra e i tre batteristi Gavin Harrison, Jeremy Stacey e Pat Mastelotto. Un dream team che si esibirà il 5 e il 6 novembre al Teatro degli Arcimboldi di Milano, l’8 e il 9 Teatro Verdi di Firenze, l’11 e il 12 all’Auditorium della Conciliazione di Roma e il 14 e il 15 novembre al Teatro Colosseo di Torino.

Norah Jones

Viso acqua e sapone, abiti eleganti senza essere ricercati, una voce calda e morbida come il velluto, in grado all’occorrenza di toccare anche tonalità acute, la cantante e pianista Norah Jones, che tornerà in Italia a novembre per due attesi concerti al Teatro degli Arcimboldi di Milano(8/11) e al GranTeatro Geox di Padova(9/11), ha venduto 40 milioni di album e vinto 9 Grammy Awards. Non male per una cantante che non ha mai puntato su canzoni usa e getta, ma che ha sempre portato avanti con coerenza un percorso musicale di qualità. Merito sicuramente dell’ambiente in cui è cresciuta, in particolare dei genitori Ravi Shankar, l’esotico maestro di sitar di George Harrison, e della cantante soul Sue Jones, che le ha trasmesso l’amore per la musica black. La Jones cresce ascoltando soprattutto jazz e country, influenze che ritroviamo anche nel suo primo album Come away with me del 2002. Il disco vende diciannove milioni di copie e si aggiudica nel 2003 cinque Grammy Awards. Assai diverso l’ultimo Little broken hearts, in cui Dangerosus Mouse le cuce addosso un abito sonoro scarno e ‘cool’, in cui si alternano sapientemente elettronica e archi, dando così vita a un pop-folk modernissimo e dal retrogusto indie.