Architetti, designer, stilisti e artisti di tutto il mondo ripensano il rapporto tra moda e professione

L’abito fa il monaco, il medico, l’imbianchino, il poliziotto, il giudice… In un tempo passato, quando a ogni professione corrispondeva una divisa. Ma oggi l’abito da lavoro non esiste (quasi) più: vestirsi è un modo per travestire e dare forma ai propri pensieri.

Però il lavoro è una parte dell’esistere decisamente importante, che sta cambiando la percezione che ognuno ha di sé nella società. Ecco perché alla Triennale va in scena una mostra sugli abiti da lavoro: 40 idee firmate da progettisti di tutto il mondo, tra cui Andrea Branzi, Antonio Marras, Vivienne Westwood, Alessandro Mendini, Melissa Zexter. Ma in chiave contemporanea. E il risultato è una riflessione stratificata su tre argomenti.

Il lavoro. È precario, flessibile, smaterializzato, innovativo, incerto. Ma soprattutto, è il nostro mondo. A raccontarlo sono Architetti, stilisti, designer e artisti che hanno immaginato abiti adatti a lavori specifici, come quello per la raccoglitrice di conchiglie o quello per dipingere i sogni: idee fantastiche per ridare all’abito la materialità del lavoro.

La moda. Leggere e interpretare i tempi è il suo ruolo. Pensare all’abito da lavoro, oggi, è un modo per dare voce a chi cerca il proprio posto nel mondo, a chi immagina il proprio essere sociale e culturale.

Il progetto. L’abito è il progetto. Di come ognuno immagina di relazionarsi agli altri, della speranza personale di un futuro migliore, della corazza che ciascuno sceglie di indossare. Come idea creativa, in evoluzione: l’abito non è una gabbia o una costrizione, ma un modo fluido di parlare di sé.

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Abiti da Lavoro

25 giugno -31 agosto alla Triennale di Milano