Al Pac di Milano una mostra retrospettiva, inedita nel modo in cui può essere navigata, è una presa diretta sul mondo tra immagini, parole e paesaggi sonori.

A trovarsi davanti Armin Linke verrebbe da pensare si tratti più facilmente di un professore di filosofia, più che un artista, e in un certo senso l’sitinto non fallirebbe. Perché l’approccio di Linke alla fotografia è all’opposto di quello del creativo seregolato, il suo lavoro si nutre del mondo con profonda curiosità, quasi scientificamente.

L’apparenza di ciò che non si vede, che apre al Pac sabato 15 ottobre in occasione della dodicesima Giornata del Contemporaneo, è ben di più che un’esposizione di belle fotografie – per quanto Linke sia un maestro dell’obiettivo. Il progetto parte sì dalle immagini, dal suo immenso archivio che consta circa 20 mila fotografie perfettamente schedate, ma si arricchisce di una serie di testi, oltre che di un paesaggio sonoro.

Mettendo mano alla sua straordiaria raccolta per la retrospettiva milanese – in collaborazione con Zkm Center for Art and Media Karlsruhe – Linke ha pensato che la sua personale selezione non fosse necessariamente la più significativa. Ha così deciso di coninvolgere un gruppi di studiosi – tra architetti, scienziati, sociologi, teorici di varie discipline – e li ha messi in dialogo con l’archivio: ha chiesto loro di indicare quali immagini avrebbero scleto e perché. Il risultato di questo processo è ciò che si vede in mostra. Un’idea nata, spiega l’artista, quando l’antropologo Bruno Latour gli chiese di usare alcune sue fotografie come note a piè di pagina per chiarire alcuni suoi concetti. ‘Mi interessava molto capire cosa avesse visto lui, nelle mie fotografie, che io non avevo visto’. Da qui il titolo, che di per sé potrebbe apparire criptico, ma alla luce di questo eposodio non lo è affatto.

Le immagini esposte sono allestite in un display dinamico, quasi sovrapposte le une alle altre, da sfogliare come un libro, o meglio da navigare come in rete:‘La mostra funziona come un ipertesto’ prosegue l’artista ‘che cerca di rappresentare luoghi immateriali in modo fisico e che si possa navigare come su una pagina web, ma avendo un’esperienza fisica’. Nulla è stato appeso alle pareti per non interferire con l’architettra interna del Pac. E sono arricchite di lunghe didascalie, ovvero il racconto ‘di ciò che non si vede’, ma che i professionisti chiamati a interpretare leggono in quelle situazioni. Non è infine per autori che sono raggrupate le fotgrafie, bensì per aree tematiche: i luoghi di potere, i paesaggi, gli ambienti fittamente connnessi della società contemporanea.

Nato a Milano nel 1966 e di casa a Berlino da 12 anni, Armin Linke ha cominciato presto a viaggiare e non ha mai smesso. Oggi il suo archivio è un atlante senza confini che va dal Vaticano ai giardini di Singapore. E anche se il suo arrivo a Milano viene salutato da alcuni come un ritorno a casa, è chiaro che Armin Linke è un artista che appartiene al mondo prima ancora che all’Italia. 

Armin Linke L’apparenza di ciò che non si vede

A cura di Ilaria Bonacossa e Philipp Ziegler

Pac, Milano, dal 16 ottobre 2016 al 6 gennaio 2017 

In occasione della Giornata del Contemporaneo apertura sabato 15 ottobre, dalle 18 a mezzanotte