Cédrine Scheidig, una certa idea di identità

Cédrine Scheidig, una certa idea di identità

di Lella Scalia

Vincitrice del Premio Dior per la fotografia e le arti visive, l’artista esplora con delicatezza e per nuove vie il tema della diaspora  e dell’identità composita

«Sono due serie, in dialogo tra loro. It Is a Blessing to Be the Colour of Earth racconta la vita dei membri della diaspora afro-caraibica che vivono nella periferia parigina. Ho mescolato ritratti e nature morte cercando di affrontare gli immaginari delle “seconde generazioni”, tra cultura urbana e natura, il qui e l’altrove. Les mornes, le feu, invece, è un progetto cominciato nel 2022 a Fort-de-France, in Martinica, un’indagine su una gioventù che si muove tra storia coloniale e hip-hop, esoterismo locale e globalizzazione». La voce è quella della fotografa Cédrine Scheidig, protagonista di una personale allo Studio della Maison européenne de la photographie di Parigi (1-2/26-3) e, lo scorso anno, vincitrice con It Is a Blessing del Premio Dior per la fotografia e le arti visive per i giovani talenti.


Si sofferma spesso sulla parola “ibrido” Scheidig, 28 anni, francese di origini caraibiche – il padre da Guadalupe giunse in Francia negli anni ’70. Del resto, a parlare è la sua doppia eredità, che lei racconta sia con delicati ritratti immersi in una luce soffusa, frammenti di paesaggi urbani e still life, sia riflettendo su temi come il colonialismo, l’ibridazione culturale, la moderna mascolinità, la migrazione. Vivere tra due culture, per lei «è come essere ancorata tra più luoghi, in rapporti con la terra, la Storia, il mondo. Il mio lavoro è un mezzo per esplorare questa mia identità e indagare le possibilità per creare immagini artistiche. Ma il clou è lavorare con gente che mi somiglia, con spazi, vissuti e immaginari oggi spesso assenti nell’arte e nella fotografia. Interrogo l’ibridazione per attivare quello che lo scrittore Édouard Glissant auspicava: “La necessità di sostenere le lotte politiche e sociali dove ci troviamo, ma anche […] di aprire l’immaginario di ognuno a qualcosa di diverso, come a dire nulla cambierà nel mondo se non si cambia quest’immaginario”».

Diamant, 2022 – © Cédrine Scheidig

L’identità, sostiene, «è qualcosa di fluido, che ha a che fare con la trasformazione di sé nell’incontro con il mondo e con gli altri. Sono vicina al pensiero di Glissant e all’idea che la relazione è un modo di “cambiare con l’altro, rimanendo però sé stesso”. L’idea di identità è troppo spesso usata come una categoria cristallizzata». Perché ha scelto la fotografia? «È un modo di lavorare con la realtà, vi attingo l’essenza della mia ispirazione: la poesia e il caos che la abitano, la resilienza. “Come produrre senza distruggere?” si chiede un artista che amo, Olivier Marboeuf, quasi una traccia per il mio lavoro: per lavorare con la realtà, con un occhio documentaristico non predatorio, ma che sia un modo personale di conferire una forma alla nostra esperienza della realtà».

Chiamata da Nike come da The New York Times, Scheidig pare ormai insediata sul palcoscenico del successo. Che potrebbe mettere pressione, condizionare il percorso di un’artista: «Non mi pongo il problema, non produco per il successo, ma perché fotografare mi permette di esprimermi, di partecipare in modo creativo a conversazioni per me importanti. Il successo è piuttosto la possibilità di raggiungere più persone, sensibilizzarle al mio lavoro,alle mie idee. E forse, anche, per dire a chi mi assomiglia: “Sì, è possibile. La fotografia e il mondo dell’arte possono essere anche nostri”».