È morto oggi l’attore, drammaturgo, scrittore, scenografo, pittore, illustratore, regista e Premio Nobel. Il ricordo in un’istantanea. Che racconta una vita

Le mattonelle arancioni e rosse ricoprono la parete, una patina di detergente industriale rinsecchito le rende più opache del solito. I bambini si aggirano tra le corsie ricolme di caramelle gommose e torroni giganti, c’è odore di toast bruciati e formaggio fuso, il rumore di tazze e tazzine si mescola a chiacchiere e risate. L’autogrill brulica di persone quando fa il suo ingresso una troupe televisiva, un addetto alla produzione compra tutte le confezioni regalo con una bottiglia di spumante che trova. Bisogna festeggiare, tutti i presenti sono invitati. È il 9 ottobre 1997, Dario Fo ha vinto il premio Nobel e lo ha saputo da un cartello scritto a mano e appeso al finestrino di un’auto mentre viaggiava con Ambra Angiolini per una trasmissione TV. Non poteva esserci festa migliore se non sul palcoscenico quotidiano di quell’area di sosta sull’autostrada tra Roma e Firenze, in mezzo alla gente, lontano dai salotti, dalle accademie e dalle invidie di chi lo ha sempre screditato.
Cinquantaquattro anni prima, non ancora maggiorenne, Fo si era ritrovato a dover scegliere se arruolarsi volontario nell’esercito della neonata Repubblica di Salò o se fare più o meno la stessa fine in Germania. C’è chi non glielo ha mai perdonato additando quell’episodio come una terribile falla nella sua coerenza, ma poi, di quale coerenza si sta parlando? Perché Dario Fo, nella sua parabola artistica e umana, ha sempre fatto una e una sola cosa allo stesso identico gioioso modo: dileggiare il potere restituendo la dignità agli oppressi. Ed è proprio questa la motivazione per cui gli venne assegnato il Nobel per la letteratura, a lui, un uomo di teatro, un cantastorie. Oggi a diciannove anni di distanza, quel premio ambito da molti scrittori è andato a un altro cantastorie, Bob Dylan. È un vero mistero buffo quello per cui Fo non ha fatto in tempo a saperlo, ma del resto capita quando un anarchico muore accidentalmente solo perché ha novant’anni.