Per la Notte dei Musei, la mostra bolognese resta aperta fino a mezzanotte. E noi vi presentiamo un racconto autorale dedicato al pittore. E a un’epoca

Visioni in soggettiva da un mondo dell’arte in cui Alfred Hitchkock scopriva Edward Hopper grazie a Cary Grant, con Selznick (produttore di Via col vento) sullo sfondo. Ecco il racconto dentro il racconto della mostra dedicata a Edward Hopper ospitata a Palazzo Fava di Bologna, che il giorno 21 maggio, in occasione della Notte dei Musei, sarà visitabile fino a mezzanotte.

Alfred si è appena trasferito a Los Angeles, ha quarant’anni e ventitré film alle spalle. La moglie e la figlia sembrano felici. Una nuova vita, un nuovo paese, quello delle opportunità… E le opportunità non tardano a farsi avanti. David O. Selznick è un giovane produttore che ha aggiunto una “O” al suo nome perché suona bene, ha prodotto Via col Vento e non è tipo da accettare rifiuti, ma Alfred di lavorare a un film sul Titanic non ne vuole sapere. Selznick incassa il no lasciando di stucco i collaboratori e rilancia: una pellicola tratta da un romanzo di Daphne du Maurier. Rebecca porta a casa due Oscar, ma non per la regia. Di quelli Alfred non ne vedrà mai uno.
Un altro soggetto è già pronto. La produzione organizza alcuni incontri tra il regista e il futuro protagonista, un altro inglese, un certo Archibald Leach. Poco prima di cominciare le riprese Leach invita Alfred a una mostra in arrivo dalla collezione del Whitney Museum. Il sole splende, le cromature delle auto brillano e le femmes fatales sfolgorano. Hollywood è un sogno, ma qualcosa da qualche parte stride e sfrega, incrina e s’incrina. Il rumore della città è un silenzio assordante. Sono entrambi puntuali. Il sorriso di Leach è fascino distillato, il suo nome d’arte lo precede: Cary; il suo cognome d’arte lo segue: Grant. Tutti lo guardano.

Tutti tranne Alfred, che è rimasto inchiodato davanti a un olio su tela: La casa vicino alla ferrovia. Lo ha dipinto un pittore di Nyack. La casa è sospesa nel nulla. C’è qualcosa di vagamente pomposo, decadente e fosco; eppure i colori sono tenui, l’architettura armoniosa. Alfred si avvicina. La parola gli scivola tra le labbra. Perturbante… Come la solitudine delle luci di L.A.. Milioni di vite che si sfiorano senza vedersi, vite a cui non resta che ascoltare le voci nella propria testa, come gli abitanti di quell’enigmatico edificio. Alfred immagina che al secondo piano si celi una presenza sinistra. Anche uno scrittore di Chicago, dopo aver visto lo stesso quadro di Hopper, sta immaginando la stessa cosa.

L’attore più affascinante del pianeta lo chiama, Alfred Hitchcock stacca lo sguardo a fatica. Il pittore della solitudine, l’impressionista simbolista, il realista metafisico che dipinge il silenzio ha fatto vibrare qualcosa nell’inconscio del regista inglese. Una ventina d’anni dopo quella vibrazione lo porterà tra le pagine del romanzo di Robert Bloch e La casa svelerà infine i suoi inquilini: Norman Bates e sua madre.