Fëdor Dostoevskij, l’irrequieto mai così attuale
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Fëdor Dostoevskij, l’irrequieto mai così attuale

di Simona Santoni

Lo scrittore russo nasceva 200 anni fa, eppure i suoi personaggi e il riflesso dei loro dubbi risuonano ancora in noi. Ne sanno qualcosa Robert De Niro e Woody Allen

Era con le spalle al muro, con gli occhi al plotone di esecuzione, quando gli fu detto che lo zar gli concedeva la grazia. Fëdor Dostoevskij, scrittore in bilico, genio irrequieto, ha avuto una vita da romanzo. E una poetica di tenebre e luce capace di insinuarsi in ogni piega dell’animo umano, le più luminose e, soprattutto, le più torbide. Anche se l’11 novembre si contano i 200 anni dalla sua nascita, la sua essenza narrativa, come anche la sua biografia, è ancora profondamente attuale. Specchio di un’umanità percorsa da dubbi, in equilibrio sul filo incerto del destino.

I suoi personaggi parlano di noi

“Mamma li russi”. Di fronte ai tomi spesso infiniti e impolverati di Ottocento dei grandi scrittori russi la prima reazione del lettore ingenuo è per lo più di sgomento. E invece, entrare nel mondo articolato e ricchissimo della letteratura russa del XIX secolo è un’avventura entusiasmante, alla scoperta di sé. Con Dostoevskij e Tolstoj giganti paralleli, entrambi in continua tenzone con la Fede, il primo che risuona del dinamismo tragico di Shakespeare, l’altro che percorre l’esemplarità scultorea dell’epica omerica, come osservò il grande critico letterario George Steiner.

Se Tolstoj è epopea abbacinante, in cui perdersi, Dostoevskij è perdizione: è così tanto noi, è il nostro lato più inconfessato, è il tormento di quei giorni bui che non ammettiamo neanche a noi stessi.

Dostoevskij
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Ritratto di Fëdor Mikhailovich Dostoevskij, 1877, per opera di Vasily Perov

Raskolnikov di Delitto e castigo uccide una vecchia usuraia guidato dall’idea della libertà dell’uomo superiore, ma poi è tormentato dalla propria coscienza, «in preda alla febbre, a una specie di tetro entusiasmo». Da un angolo opposto di cielo, il principe Myskin de L’idiota è un rampollo aristocratico dallo spirito puro, dolce e strano, che legge nei cuori di tutti e non si lascia cambiare dal cinismo e dalla mediocrità che ha attorno. Se Raskolnikov, Myskin e altri personaggi di Dostoevskij ci affascinano, è perché parlano di noi con realismo e intensità. Ci riconosciamo nei loro rimorsi, nei loro scatti di presunzione, negli istinti più biechi, nelle aspirazioni spirituali.

«Gli uomini sono stati creati per tormentarsi reciprocamente» sostiene ne L’idiota Ippolit, adolescente nichilista e malato, nella sua lettera di addio al mondo. Il cuore di Myskin non ha vacillato dinnanzi a questa frase. Il nostro sì.

Chi non desidera la morte del padre?

Con I fratelli Karamazov Dostoevskij disegna ogni spettro dell’animo umano e le sue manifeste contraddizioni, nello stagliarsi nitido – e poi confondersi – di bene e male. I fratelli sono quattro, Dimitrij violento scriteriato ma generoso, Ivan fine intellettuale ateo, Aleksey novizio devoto spinto dall’amore per il prossimo, Smerdjakov, illegittimo ed epilettico, servo di famiglia, il più marginale che in realtà è il motore narrativo. Meschino e depravato, il padre Fedor Karamazov viene ammazzato. 

Il parricidio diventa punto di rottura con il passato, rifiuto del sermone dei padri, conflitto tra generazioni.
«Chi non desidera la morte del proprio padre?», chiede Ivan Karamazov. Una domanda che, proprio mentre respingiamo inorriditi, ci inchioda. Fa tremare i polsi, si spinge al di là del conscio, anticipa Freud e la psicanalisi, picchietta sulla lunga distanza.
Ancora oggi Dostoevskij ci insegna a farci domande scomode. Con il suo sguardo multiforme, ci apre a interrogativi bifronti e a letture della realtà molteplici.

Dostoevskij, una vita da romanzo

I personaggi di Dostoevskij portano le tracce della sua vita turbolenta. Nato a Mosca l’11 novembre 1821, figlio di un padre di origini nobili che governava a suon di regole e cinghiate, Fëdor ereditò da questo clima autoritario gli attacchi di epilessia che minarono la sua salute (epilessia di cui soffre anche il principe Myskin de L’idiota). La mamma, invece, fu cara e attenta educatrice, insegnandogli ad apprezzare autori come Puškin. Purtroppo morì troppo presto, quando Fëdor aveva 16 anni. Il padre? Nel frattempo aveva preso a bere, cosa che lo aveva reso ancora più iracondo, e probabilmente fu assassinato dai suoi contadini («Chi non desidera la morte del padre?», Fëdor come il suo Karamazov).

Manoscritto "Demoni"
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Una pagina del manoscritto autografo dei “Demoni” di Dostoevskij, 1870-1871, ora nella collezione della Biblioteca di Stato russa a Mosca

Poi fu la quasi fucilazione, anno 1849. Sorpreso a una riunione di liberali, dove era andato per trovare spunti per i suoi racconti, Dostoevskij fu arrestato e condannato a morte. Era già sul patibolo quando gli fu comunicato che la pena era stata tramutata in lavori forzati. Prima la Siberia, quindi il divieto di risiedere nella capitale. La morte del fratello lo investì di debiti, a cui cercava vana soluzione alla roulette, come l’Aleksej de Il giocatore.

Nel 1871 finalmente l’ingresso a San Pietroburgo e fu come uscire di prigione una seconda volta, accompagnato dal riconoscimento letterario e dagli inviti nei salotti. Fino all’ennesimo colpo basso del fato: il figlio morì a tre anni per una crisi epilettica, la sua malattia. In lui si consolidò l’idea di responsabilità universale.

Dostoevskij tra Woody Allen e Paul Schrader

«Ricordi quel giovanotto tanto caro, Raskolnikov? / Ha ucciso due signore / A me lo ha detto Bobik. Lo ha saputo da uno dei fratelli Karamazov»: il pezzo di dialogo surreale è di un Woody Allen ancora giovane di irresistibile comicità demenziale, in Amore e guerra.

L’eredità di Dostoevskij ancora gemma. Il suo legame con la cultura anche più pop successiva è più forte dell’immaginabile. Al di là delle trasposizioni dei suoi romanzi sul grande schermo, da Le notti bianche di Visconti con Mastroianni a Quattro notti di un sognatore di Bresson fino a I demoni di Wajda, il cinema ha guardato spesso a Dostoevskij. E continua a farlo.

Il Robert De Niro mentalmente instabile del cult di Scorsese Taxi Driver? Dietro di lui l’ombra di Dostoevskij. Lo sceneggiatore Paul Schrader ha spiegato: «Qualche anno prima avevo letto Memorie dal sottosuolo di Dostoevskij e mi era venuta voglia di farne un film; Taxi Driver era quanto di più vicino a quel film mi fosse capitato».
Schrader ha recentemente presentato alla Mostra del cinema di Venezia il suo film da regista Il collezionista di carte, con protagonista un giocatore di carte uscito di prigione: oh quanti echi dostoevskijani!

Woody Allen ha più volte flirtato con lo scrittore russo esploratore del dubbio, non solo in Amore e guerra. Impossibile non riconoscere nell’affascinante Jonathan Rhys Meyers protagonista di Match Point la rielaborazione del Raskolnikov di Delitto e castigo.

Per dirla alla Allen, questa volta in Mariti e mogli: «Tolstoj è un pasto. Turgenev direi che è un favoloso dessert, così lo caratterizzerei. E Dostoevskij? Ah sì, Dostoevskij è un pasto completo con contorno di vitamina e germe di grano».