Le installazioni da vedere a Milano, perché il design è fatto anche per pensare, sorridere e amare.

The sexiest: Resina rosa a terra, tendine bianche come quelle che si trovano negli istituti di bellezza per dividere gli ambienti. La clinica immaginata da Atelier Biagetti è “un luogo felice” dove ci si può disintossicare dal sesso_ “serve come rifugio dal costante e invadente bersagliamento di immagini sexy e sentirsi finalmente soddisfatti, protetti, curati e salvati” scrive la curatrice Maria Cristina Didero. E uscirne forse ancor più disinibiti ed eccitati di quando si è entrati. Con NO SEX, loro, il designer Alberto Biagetti e l’artista Laura Baldassari, per viaggiare sul filo del rasoio ce la mettono tutta e il risultato è pregevole per forma e sostanza: il day-bed in pelle chiara e caucciù ha inserti estraibili, strategicamente posizionati all’altezza dei seni e della testa, la sedia è come quella del dentista, ma è color cipria e rosate sono anche le parti metalliche su otto rotelle trasparenti, i side-table hanno i ripiani in acciaio riflettente posati su cilindri in silicone. Toccare per credere. Durante l’evento di apertura ad accogliere gli ospiti c’erano due “dottoresse” gemelle molto giovani e molto sexy (le designer Elena e Giulia Sella, fondatrici del blog DesignByGemini) e una squadra d’infermierine animava la serata. Servite rigorosamente da maschi in camice bianco, le bevande alcoliche.

The funniest: Il divano Bocca di Studio65, il Cactus disegnato da Guido Drocco e Franco Mello, il Pratone di Giorgio Ceretti, Pietro Derossi e Riccardo Rosso, il Sasso e Sedilsasso di Piero Gilardi: i pezzi iconici del Radical Design ci sono tutti e radicale è pure l’installazione, perché le famose furniture galleggiano in un mare di cubetti di ghiaccio. Gufram on the Rocks è una retrospettiva che celebra i gloriosi 50 anni del marchio italiano e non sfiora la noia neanche per scherzo. Gli ospiti illustri all’opening della mostra in Galleria Carla Sozzani, da Maurizio Cattelan a Stefano Seletti, hanno avuto di che divertirsi con il giovane Charley Vezza, “Global Creative Orchestrator” di Gufram, tra le immaginifiche creazioni in un paesaggio che sembra sbucare da un fumetto (vietato tuffarsi nel mare di cubotti per non scontrarsi con il principio di realtà). Con l’occasione sono stati presentati anche due nuovi prodotti: Poltrona di Alessandro Mendini, un trono domestico in poliuretano che sembra marmo e la scultura morbida in ‘vero-finto’ ferro arrugginito di Kris Ruhs. Mentre per il Cactus psichedelico creato in collaborazione con Paul Smith, altra novità di questo Salone, occorre recarsi al negozio del fashion designer inglese in via Manzoni 30.

The weirdest: Ha inaugurato circa un anno fa a Castelbosco, dalle parti di Piacenza, The Shit Museum, dall’idea dell’imprenditore Gianantonio Locatelli di trasformate gli escrementi delle 2500 mucche della sua azienda agricola in materiale di riciclo per produrre finiture e mattonelle. Quest’anno il museo, con la direzione creativa dell’architetto Luca Cipelletti, fa un passo in più, presentando oggetti di varia natura come vasi, water, piastrelle, sedute. E stoviglie, igienicamente inappuntabili: l’estetica, pauperista e quasi primordiale, fa un po’ “Cena di Emmaus”. D’altra parte, come suggerisce la patinata rivista inglese Wallpaper Merdacotta is the new terracotta’. Non resta che credergli. All’apparenza molto simile, sia per texture che per colorazione, è certamente un’innovazione che va “digerita”. Per quanto la tradizione sia ben consolidata in altre regioni dal pianeta, lo sterco in tavola fa pensare a un mondo al contrario come quello rappresentato nel film di Luis Buñuel, Il fantasma della libertà, di cui al museo viene proiettata non a caso la scena clou: un gruppo di borghesi convivialmente riuniti a un tavolo, siede sui water al posto delle consuete sedute. E quando qualcuno viene preso da un leggero languorino, chiede timidamente dov’è la cucina e vi si rifugia chiuso a chiave per consumare un frettoloso pasto. Questo Shit Museum, trasferito per il FuoriSalone nel distretto delle 5VIE, in via Santa Marta 18, è un progetto solido, ma va detto, ha un che d’incredibile. Surreale, ma vero.