L’intelligenza artificiale e la fine dell’umanità, i grandi pensatori e le “opere in prestito” nella prima personale in Italia dell’artista inglese

Alla Fondazione Prada arriva Goshka Macuga. Già tra i finalisti del Turner Prize (nel 2008) e nota per l’opera The nature of the beast, citazione di Guernica inclusa nella mostra ‘Picasso.Mania’ al Grand Palais di Parigi, l’artista di origine polacca, ma con indirizzo londinese, si presenta a Milano con un lavoro elegante e complesso di cui è insieme autrice e curatrice, come sua abitudine.

La mostra riprende nel titolo – To the son of man who ate the scroll – un passaggio del libro di Ezechiele ed esplora questioni come l’origine, la fine, la rinascita, il tempo, l’eredità del sapere. Lo fa concentrando l’attenzione sui sistemi di classificazione, che informano la conoscenza e ne permettono la trasmissione – ovvero la memoria. Rappresentano allo stesso tempo per l’artista una mappatura soggettiva di ciò che le interessa trattenere.  

Il tema della memoria è perciò il fulcro dell’opera clou, un robot dalle sembianze umane (creato in Giappone) che declama un discorso composto da frammenti di frasi prese a prestito da grandi pensatori. Qui memoria e intelligenza artificiale sono messe in relazione attraverso l’arte della retorica. Attorno all’automa, collocato nel parallepipedo in mezzo al cortile del quartier generale – il Podium – si sviluppa una costellazione di opere di altri artisti, da Phyllida Barlow e James Lee Byars a Eliseo Mattiacci e Lucio Fontana – e un designer, Thomas Heatherwick, pescate in parte dalla collezione permanente o in arrivo da altre istituzioni museali.

Questa maniera di appropriarsi di lavori altrui e inserirli in un contesto personale caratterizza il lavoro di Goshka Macuga e raggiunge  risultati straordinari, trasformando la mostra stessa in una sola estesa e coerente opera. Sono infiniti, infatti, i rimandi tra una sezione e l’altra. Così al piano superiore dello stesso Podium, una selezione di opere punteggia i cinque tavoli (realizzati dall’artista con Patrick Tresset) su cui sono srotolati fogli poi istoriati da piccoli plotter semoventi: raccontano la storia dell’umanità e la sua fine con una direzione vagamente cronologica. Affida a questo piano, ma nascosta in fondo alla sala, la domanda chiave: ‘What was I?’ con cui termina l’enunciazione dell’androide. 

I grandi pensatori, che all’essere artificiale hanno prestato le loro frasi, tornano infine nella ragnatela di teste interconnesse da lunghe barre metalliche nello spazio brutalista della Cisterna: la struttura ricorda l’iconografia con cui è rappresentata la molecola e l’opera pare auspicare a una leadership intellettuale piuttosto che politica. Tra i 61 personaggi cesellati nel bronzo compaiono Albert Einstein e Sigmund Freud, che si confrontarono a colpi di lettere sulla possibilità di arginare la violenza nel mondo (la documentazione è inclusa nella mostra), e Mary Shelley, la creatrice di Frankestein, a cui allude il man-made-man nel Podium. 

A completamento dell’installazione anche un’eperienza performativa: sessioni di reading in Esperanto sono programmate ogni weekend alle 17 nello Studiolo (sino ad aprile). Tutt’attorno opere di noti artisti italiani – astraenti e a loro modo trascendenti. 

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Goshka Macuga: To the son of man who ate the scroll

Fondazione Prada, Milano 

4 febbraio – 19 giugno

fondazioneprada.org