Ibrahimovic, alle origini della leggenda
Courtesy of Mark de Blok

Ibrahimovic, alle origini della leggenda

di Andrea Giordano

Il grande fuoriclasse approda al cinema, in “Zlatan”, il biopic che ne ripercorre l’adolescenza, prima di diventare il campione di oggi

Ibracadabra, e la magia è servita.

Uno dei calciatori più cruciali e decisivi della sua generazione, Zlatan Ibrahimović, oggi nuovamente in forza al Milan, non smette di (r)innovarsi, neanche quando a oltre 40 anni (compiuti lo scorso 3 ottobre) si dimostra quel campione che è, quello dalle giocate spettacolari, che sbriciola i record stagione dopo stagione, arrivando, dati aggiornati, a 505 centri in 843 partite da professionista nei club. Oltre vent’anni di gol meravigliosi e impossibili, di assist e sforbiciate al volo, di tacchi e incornate, colpi in grado di lasciare tracce ai vertici internazionali, dal 1999 ad oggi. Prima al Malmö FF, all’Ajax allenato dall’ ”odiato” Ronald Koeman, poi consacrandosi cronologicamente alla Juventus di Capello, passando all’Inter, Barcellona, Milan, Paris Saint German, Manchester United, Los Angeles Galaxy, di nuovo al Milan, tornato nell’agosto 2020, ormai una seconda casa. Per non parlare ovviamente di quello che ha fatto nella nazionale svedese, nella quale è rientrato recentemente dopo cinque anni di assenza, e di cui è (ancora) leader e primatista assoluto con 62 gol e 118 presenze.

Ibra, l’ “animale” d’area, è capace ogni volta di misurare il tempo passando attraverso un proprio stile di gioco e attacco unico, sia talvolta individualista, o totalmente al servizio della squadra. Nessuno come lui, però, è in grado di mangiarsi gli avversari, anche quelli più giovani, grazie a forza e coraggio, prestanza fisica e mentalità vincente.

Ma dietro alla leggenda globale e contemporanea, si cela la storia di un ragazzo semplice, cresciuto tra mille difficoltà, nel sobborgo svedese di Rosengård, nel quale è cresciuto e ha provato a maturare presto. Esuberante e ribelle a scuola, considerato quasi “problematico”, Zlatan andava a letto col pallone, sognando un giorno di partecipare ad un Europeo (era il 1992), emulando l’idolo di sempre, Marco Van Basten, un mix tra due altri miti a cui non ha mai smesso di guardare con ammirazione, Bruce Lee e Muhammad Alì. Ed è da questo momento che parte e si evolve il film-biopic a lui dedicato, Zlatan, in uscita l’11 novembre in sala, distribuito da Universal Pictures e Lucky Red, diretto da Jens Sjögren, tratto dell’autobiografia “Io, Ibra” edita da Rizzoli, in cui lo stesso Ibrahimović è stato d’aiuto come consulente alla sceneggiatura.

Uno spaccato temporale, preciso, puntuale, per provare a raccontare in particolare le sue origini, in famiglia e sul campo, divise in due fasi, dagli 11 ai 13 anni (interpretato da Dominic Bajraktari Andersson) e dai 17 ai 23 anni (bravissimo qui il giovane attore Granit Rushiti). Un percorso che parla delle giovanili al Malmö FF e del FBK Balkan, di allenamenti, di sacrifici, dell’approdo in prima squadra, sempre al Malmö FF, attimi che scandiscono e si alternano alle memorie private, il divorzio dei genitori, Šefik e Jurka, immigrati dalla Jugoslavia, l’affido al padre, i furti, la povertà, l’ambiente difficile.  Sprazzi e radici di vita, per decifrare il bambino e l’adolescente di un tempo, che lottava contro i bulli, senza farsi mettere i piedi in testa, ma che nei campetti di periferia faceva già vedere un talento e carisma assoluto. Sicuro di sé e dei propri mezzi, nonostante non avesse ancora dimostrato ancora nulla al mondo del calcio. Lo farà di li a poco, quando (merito di Mino Raiola, già allora suo procuratore) lascerà per sempre l’Olanda, dopo l’ultima rete memorabile con l’Ajax, contro il Nac Breda, per approdare il 31 agosto 2014 a Torino, alla corte di Fabio Capello, di capitan Del Piero e Luciano Moggi, passando alla Juventus, giocando insieme a Trezeguet, Nedvěd, Buffon, Zambrotta.

Il resto, come dice il film, è storia. Quella scritta macinando dribbling, genialità e sregolatezza, quella di un campione mediatico a 360°, che ancora insegue col medesimo spirito quel pallone, per provare a fare rete, come succedeva nei campi infangati di Rosengård. Storia di un fuoriclasse, che non ha mai voluto farsi amare, e che invece c’è riuscito.