Il mondo di Tim Burton, tra genio e ispirazioni, si apre ora alle serie

Il mondo di Tim Burton, tra genio e ispirazioni, si apre ora alle serie

di Andrea Giordano

Tim Burton, il visionario regista inglese, “debutta” ora anche in una serie attesissima, “Mercoledì”, in onda su Netflix dal 23 novembre, da non perdere

Tim Burton e il suo universo di personaggi, storie, ispirazioni, idee, sembra non avere mai confini. Più che un regista, è diventato in oltre 30 anni ormai un concetto, uno stile, uno sguardo sul mondo e sulle cose che lo contaminano, sempre a un bivio bizzarro, magico, tra realtà e immaginazione, tra l’essere semplicemente considerato un’artista dark, gotico, ad aver invece sfatato questa etichetta, rimandandola indietro. Perché Burton investe più colori. Il futuro visionario, che da piccolo era considerato quello ‘strano’, una sorta di outsider, ha preso però linfa vitale proprio da quel periodo raccontando nel suo cinema di diversità, bisogno di inclusione, facendo sentire meno soli i tanti simili a lui.

Burton ha intercettato, quasi da vero pioniere, gli umori della società, mescolando i generi e lanciando messaggi, anticipando ad esempio di gran lunga l’onda (attuale) dei cine-comics con due vere perle d’annata, Batman e Batman – Il ritorno, mostrandoci così altre strade. Esempi di una carriera monumentale che a partire da Beetlejuice ha inellato piccoli, grandi capolavori. Parliamo di cortometraggi-gioiello come Vincent, o titoli quali Nightmare Before Christmas (sua l’idea originale, non la regia), Edward mani di forbice, Ed Wood, «la pellicola a cui sono più legato» dice, La fabbrica di cioccolato, Alice in Wonderland, Sweeney Tood, Mars Attacks!, Big Eyes, Big Fishil progetto maggiormente difficile, dopo la morte di mio padre». E ancora Dark Shadows, Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali, o Dumboil lavoro più autobiografico, riferito a come mi sentivo agli inizi in Disney, disegnando come animatore: ovvero in gabbia, in un circo orribile da cui scappare».

Una vita dietro la macchina da presa, celebrata in pompa magna recentemente a Lione, al Lumiére Film Festival, dove gli è stata dedicata una completa retrospettiva, e poi, al Lucca Comics & Games, travolto da migliaia di seguaci e fan, omaggio che si deve solo ai giganti, ai veri maestri, a quegli artisti (in)compresi, ma che poi alla fine sanno sempre lasciare un segno indelebile quando passano.

Adesso, dopo tanto cinema, arriva il debutto in una serie, la prima, in onda dal 23 novembre su Netflix, e che riguarda il personaggio di Mercoledì Addams, da cui il titolo Mercoledì. L’ennesimo alter ego, ma forse quello più vicino in cui riconoscersi, e «condividere lo stesso punto di vista in bianco e nero». Un progetto covato per anni, da quando ha iniziato masticare prima i fumetti di Charles Addams, e poi la serie anni ’50 con John Astin, arrivando ora a realizzare una sua versione ad personam su una figura complessa, ma affascinante. Una ragazzina che ai social, Snapchat, Instagram, TikTok, preferisce la macchina da scrivere, suonare il violoncello, che agli abiti apparentemente sgargianti degli studenti della scuola che frequenta, la Never More Academy, ama il total black e differenziarsi.

Il suo umorismo nero, però, è da sempre tra i più solidi dell’immaginario, è una forma di malinconia grottesca, cinica, lucida, che in fondo cela un personaggio variopinto, tutto da esplorare e seguire nel divenire, nel suo rapporto con i genitori, la società, sè stessa. Da qui lo spunto della serie spin-off, interpretata da Jenna Ortega nel ruolo centrale, e da attori come Catherine Zeta-Jones (Morticia) e Luis Guzmàn (Gomez), e una chicca particolare, Christina Ricci, ex Mercoledì cinematografica, che col regista aveva già lavorato ne Il Mistero di Sleepy Hollow.

Sarcasmo e intrattenimento dunque, e una dose infinita di intuizioni e suggestioni: Tim Burton illumina ed esorcizza i propri demoni esuberanti, gioca a inventarli, a renderli plausibili. Insieme a lui ci si dimentica di essere adulti o bambini, sia che ci siano fantasmi, cavalieri senza testa, cappellai matti, barbieri assettati di sangue e vendetta, marziani antiamericani, fenomeni da circo, o uomini, capaci di raccontare storie fantastiche, assurde, eppure vere, da cui poter in fondo imparare e ricominciare.

«Sono cresciuto guardando i film dell’orrore di registi come Mario Bava, Dario Argento, appassionandomi ai mostri. Al contrario del traumatizzarmi, hanno avuto l’effetto opposto». ha detto.«Mi rassicuravano, era più una cosa identificativa. Fu lo stesso per le pellicole di Roger Corman, per i romanzi di Edgar Allan Poe: mi sono relazionato con quei personaggi, con quelle anime torturate, morte, che per me però vivevano. Era semmai una sorta di catarsi. Oggi tutti sanno tutto, e probabilmente si è perso po’ del mistero e della magia dei film, ecco io sono pronto a mantenere un po’ di quel mistero».