In conversazione con Aneta Grzeszykowska

In conversazione con Aneta Grzeszykowska

di Maurizio Cattelan

L’artista si racconta, tra domande esistenziali e barzellette di humor nero, tematiche familiari e fotografia

Ho conosciuto il lavoro di Aneta durante la ricerca curatoriale per la Biennale di Berlino, nel 2005-2006. In mostra, curata con Ali Subotnick e Massimiliano Gioni, c’era Album: oltre 200 fotografie dalla collezione della sua famiglia, da cui Grzeszykowska si era sistematicamente rimossa, lasciando il vuoto dove prima c’era il suo corpo. A 16 anni di distanza, il suo lavoro ha ancora il potere di colpirmi come un sogno disturbante che riaffiora durante il giorno.

Che rapporto hai con l’autoritratto?

Non sono più interessata a me stessa, ma la gente pensa ancora che io realizzi autoritratti anche se fotografo i miei cani.

La fotografia implica sempre una certa dose di violenza e voyeurismo. Che cosa succede quando sei tu il soggetto dello scatto?

Scompaiono entrambi.

Nelle tue ultime opere tua figlia è coinvolta attivamente. Come reagiresti se ti chiedesse di essere riconosciuta come autrice di questi lavori?

Si tratta di tematiche familiari.

Cosa è successo quando hai annunciato ai tuoi genitori di essere un’artista?

Durante la 4a Biennale di Berlino, quando partecipai con l’opera Album e la fotografia dei miei genitori (senza di me) fu stampata come manifesto della Mostra, mia madre commentò: «Fantastico, finalmente tutti apprezzeranno il mio abito fatto a mano».

Se non fossi diventata un’artista che lavoro avresti fatto?

L’avvocato civilista. Adoro le interpretazioni.

Cosa ti rende vulnerabile?

Mia figlia.

Qual è stato finora il momento più rivelatore della tua vita?

Lo sto ancora aspettando, spero di viverlo al termine della mia esistenza terrena, quando finalmente troverò le conclusioni e le risposte.

Raccontami una barzelletta di humor nero.

Un polacco, un russo e un tedesco incontrano il diavolo, che dice: «Non vi porterò all’inferno se verrete da me in auto e seguirete le mie istruzioni». Il polacco arriva su una Syrenka, il tedesco su una Mercedes, mentre il russo non si fa proprio vedere. Il diavolo quindi dice: «Peccato, cominciamo senza di lui. Dovete prendere a calci la vostra auto fino a distruggerla». Il polacco dà un calcetto alla Syrenka, riducendola in pezzi. Il tedesco guarda la Mercedes chiedendosi come colpirla, e improvvisamente scoppia a ridere.
«Perché ridi?», chiede il polacco.
«Guarda, il russo sta arrivando su un carro armato!».


Teresa & Teodor (Selfie con i cani), 2022. Photo by Aneta Grzeszykowska.

Se avessi inventato un modo per trasformare il tuo occhio in una fotocamera, cosa fotograferesti di nascosto?

Non mi interessa particolarmente realizzare scatti segreti, forse controllerei dove vanno i miei gatti di notte in campagna.

Secondo te, facciamo arte per allungarci la vita?

Sinceramente non so perché gli altri realizzino opere d’arte, ed è sempre complicato per me usare il “noi” (come nella domanda). 

In che modo può l’arte regalarci un’esistenza più longeva? 

È un concetto piuttosto assurdo, considerando la vita da un punto di vista fisico e soggettivo.Personalmente lavoro in ambito artistico perché trovo molto pratico poter sfruttare problemi e ansie a livello professionale e trasformarli in vantaggi. Dà un certo senso di controllo.

Che rapporto hai con la morte?

Odio la “morte” (il suo lato “ignoto”). Ho da sempre la sensazione di essere seduta su una sedia che traballa perché ha una gamba più corta. Ne sono consapevole e sono stanca di vivere con questo senso di assurdo che è un tutt’uno con l’ignoto.