Karl Lagerfeld, una monografia racconta il celebre designer

Karl Lagerfeld, una monografia racconta il celebre designer

di Lella Scalia

Scritta di chi l’ha conosciuto bene, una nuova monografia che si legge in un soffio racconta proprio tutto su Karl Lagerfeld, il più misterioso, colto, chiacchierone e mediatizzato couturier

Il migliore aggettivo per Karl Lagerfeld è il francese “incontournable”. Difficile circoscriverlo, di lui molto si è detto, supposto; e ora la curiosità trova nuovi spunti nella biografia che la giornalista di Libération Marie Ottavi ha distillato da due lunghe interviste del 2019 con il couturier, amplificate con le voci di chi a lui era vicino. Karl (L’Ippocampo) non è però solo Karl, ma il viatico per ritrovare figure, meccanismi, rivalità, cambiamenti nella moda e nella società dagli anni 50 fino al 2018. Rivalità come quella con Yves Saint Laurent, amico poi nemico. «La rivalità, la voglia di essere il più grande ha permesso loro di salire così in alto, di superarsi», dice Ottavi. «Ma anche l’uno senza l’altro ce l’avrebbero fatta: il loro talento era innegabile». Come quello di Chanel, di cui KL riprende gli stilemi nella contemporaneità. Uguali, diversi? «Sono bugiardi, hanno riscritto la propria vita per fare sognare e schivare domande sgradevoli. Possono essere feroci, “vipere”, fulminare con una semplice frase. Ma sono diversi. KL è tutto sommato meno conservatore di Gabrielle, ben più misogina di lui, al contrario di quanto si può pensare. Lui non era un tiranno».


Philippe Aghion, ceo di Chloé, dice che lui «assorbiva la follia degli altri, ma manteneva la disciplina». Stakanovista, KL assisteva, ma non praticava, a eccessi e volgarità. Ha anteposto il senso della misura? «No, era eccessivo, non fosse che per il suo tenore di vita. Certe collezioni, diceva, erano destinate a “choquer la bourgeoisie”. Padroneggiava i codici, la storia, la cultura alta come quella popolare, giocando con il buono e il cattivo gusto». Ed è stato il freelance della moda: Chanel, Chloé, Fendi… «È difficile, e sbagliato, scegliere una sola collezione con una carriera così lunga», dice Ottavi. «Da Chloé è stato così creativo, amo le sete colorate e lo humour dietro alle sue ultime collezioni. Persino le prime creazioni per il proprio marchio meriterebbero di essere riscoperte, con quei look molto maschili. La sua cultura immensa l’ha agevolato». Così come lo ha avvicinato ad altri creativi: Antonio Lopez, Warhol, i Lalanne, Andrée Putman… Nel circolo magico entra anche Jacques de Bascher, raffinato e autodistruttivo, di cui si legge: “Nessuno vuole credere che Karl e Jacques condividano il giorno senza condividere anche la notte. La loro storia è un regalo che corrisponde a ciò che Lagerfeld ha sempre voluto: l’amore senza i suoi inconvenienti”. «Era un amore non carnale», spiega Ottavi. «Lagerfeld amava Jacques per la cultura, la disinvoltura, gli eccessi, la bellezza. Ne traeva nutrimento e gli bastava così».


Bastare a se stessi è un modus applicabile a Lagerfeld. «Ha sempre voluto essere indipendente, specie nel lavoro. Anche scegliendo di amare Jacques, che aveva altre storie e poco bisogno di sentimenti… Pur non disdegnando gli aiuti materiali». Indipendente, ma conscio della forza dei media per amplificare il suo lavoro. «È stato il creatore più sapientemente mediatico del pianeta. Il suo potere viene ancora dalla cultura, dalla padronanza del linguaggio. Aveva sempre la risposta pronta, i giornalisti lo adoravano. Nelle interviste era molto generoso».