Le mostre da vedere al PhotoFestival di Milano
Autoritratto in frantoio - Giacomo Bretzel,

Le mostre da vedere al PhotoFestival di Milano

di Digital Team

Tra le centinaia di proposte abbiamo selezionato alcune mostre, guidati dal titolo della rassegna: Ricominciare dalle immagini

Guardare l’orizzonte per osservare in una diversa prospettiva i propri pensieri. Questo è l’invito del PhotoFestival, la rassegna milanese dedicata alla fotografia, a cura del direttore artistico Roberto Mutti – in corso fino al 31 ottobre 2022 – che ha per titolo: Ricominciare dalle immagini. Indagini sulla realtà e sguardi interiori.
Inclusivo e imprevedibile, il programma del Festival è stato pensato come trasversale, ospitando sia grandi nomi che fotografi emergenti da scoprire e approfondire. Le mostre sono oltre 150, sparse nella città di Milano e, per la prima volta, in altre città italiane come Brescia, Bologna e Venezia, solo per citarne alcune. Le sedi sono 115, tra palazzi storici, gallerie d’arte, biblioteche e negozi. Il vastissimo programma prevede workshop, incontri, presentazioni, letture portfolio e visite guidate. Ai maestri fotografi come Elliot Erwitt, Oliviero Toscani e Richard Avedon – le cui mostre sono state inaugurate nei mesi scorsi – si aggiungono gli scatti di Tiziano Terzani a Bresso, che raccontano l’Asia tra presente e passato, i fondali marini e le loro meraviglie di Pietro Formis, i viaggi in Asia e Tanzania di Stefano Lotumulo, per giungere alla Puglia di Gianluca Colonnese, che immortala i “Saggi’: così vengono chiamati gli ulivi secolari, oggi a rischio di estinzione.

Con la mostra Montemagno. Un paradiso sotto la cenere, ci immergiamo nel reportage di Giacomo Bretzel ospitato fino all’11 ottobre al Teatro Litta di Milano. Dagli anni ’90, e tuttora in corso, il fotografo ha iniziato un lungo percorso reportagistico nel piccolo borgo dell’entroterra toscano di Montemagno, famoso per la spremitura delle olive. Legato da un rapporto intimo con questo luogo – il fotografo vi ha trascorso l’infanzia con la famiglia e suo nonno è stato protagonista della cultura artigianale – Bretzel lo racconta con immagini che mostrano dettagli di paesaggio, fusti di alberi, volti di contadini dagli sguardi pacifici: immagini bucoliche che ci trasportano in una realtà dove il tempo lento del raccolto e la fatica dei lavori manuali non aliena le persone ma le ammanta di una stanchezza salutare e benigna. Alla serenità di questi scatti, si alternano immagini che documentano le tracce indelebili lasciate dall’incendio di alcuni anni fa, che ha distrutto gran parte della macchia mediterranea, dei boschi e della vita del borgo.

Stile e sensibilità diversa quella di Max Vadukul, che nella mostra The Witness, Climate Change ospitata alla Fondazione Sozzani fino all’8 gennaio 2023, presenta un reportage di circa venti immagini in grande formato interamente dedicato all’ambiente e agli effetti del cambiamento climatico. Tra il 2018 e il 2020, Vadukul ha documentato con uno sguardo originale e stimolante Mumbai e altre metropoli indiane, alcune delle aree più inquinate del mondo. Le immagini che presenta sono la sintesi di un crudo e sintetico realismo, fuso con un tocco surreale: in ogni immagine campeggia una sfera specchiante. Questo monolite riflettente che fluttua sopra le discariche tossiche sembra un testimone silenzioso della devastazione provocata dall’inquinamento. Per il fotografo è una sorta di osservatore cosmico, testimone del devastante impatto dell’uomo sull’ambiente e degli effetti del cambiamento climatico.

Inizia con uno scioglilingua del nord di Bangladesh la mostra, ospitata a Palazzo Castiglioni (fino al 31/10), di Nicole Pecoitz, Paka pepe paki cae: gli uccellini mangiano la papaya matura. Con questo titolo poetico, la fotografa ci porta nelle strade polverose di Dhanjuri, il paese del riso. Pecoitz ci accompagna nella vita frenetica e soffocante della capitale Dhaka, ma anche nei villaggi delle campagne bengalesi dove la vita è molto più lenta e serena. Alla miseria dei luoghi si alternano momenti di intensa poesia, dove gli sguardi dei bambini esprimono un’intensa e meravigliata umanità. Dagli asfissianti cunicoli cittadini alla vastità delle campagne, teatro di vite dedite al lavoro nei campi e alle difficoltà quotidiane, Pecoitz ci regala un reportage dallo sguardo meravigliato, lirico e insieme antropologico, alla costante ricerca del contatto con l’Altro da sé. Una mostra che, senza dubbio, fa riflettere su quanto la semplicità di certe esistenze sia forse la chiave per comprendere l’assurdità della società occidentale con i suoi paradossi e complessità.