Mahershala vs Mahershala: il doppio che incanta

Mahershala vs Mahershala: il doppio che incanta

di Andrea Giordano

“Swan Song”, diretto da Benjamin Cleary, ci regala un Mahershala Ali in stato di grazia, che adesso si confessa ad Icon

Cosa succederebbe se un giorno scoprissimo di dover lasciare per sempre i nostri cari a causa di un imprevisto, un terribile imprevisto, ma non volessimo in nessun modo che loro se ne accorgano? La soluzione, allora, sarebbe provare a sostituirci, in una copia totalmente perfetta di noi stessi e che possa ricordare ogni aspetto vissuto in precedenza. Swan Song (dal 17 dicembre su Apple Tv+), l’opera opera prima dell’ottimo Benjamin Cleary, artista iper apprezzato anche nella realtà virtuale, prova a partire da questo ragionamento, cercando di raccontare una storia, divisa tra umanità e tecnologia, in cui però le emozioni (anche quelle più dure da sopportare) continuano a fare la differenza. A mettere in scena il tutto c’è in questo caso una coppia: da un lato Cameron, dall’altra sua moglie Poppy (interpretata da Naomie Harris), e di come nel momento migliore della loro esistenza lui debba appunto scegliere che strada prendere, e quanto in effetti lasciare di sé ad un clone, studiato appositamente per proseguire al suo posto. Un bivio esistenziale, morale, ma di riflessione contemporanea, che ha come protagonista qui uno dei migliori attori in circolazione, Mahershala Ali (sarà il nuovo Blade cinematografico), sdoppiatosi per l’occasione, capace di (s)comporre il puzzle narrativo regalando l’ennesima interpretazione straordinaria, al punto da essere candidato ai prossimi Golden Globes. In odore dunque di terza nomination all’Oscar, lui che di statuette ne ha già vinte due, per Moonlight e Green Book.

Amore, Perdita, Sacrificio. Il film parla anche di questo. Che peso dà a queste parole, e quanto è difficile investire delle emozioni in storie come queste?

E non dimentichiamoci del tempo, no? Questa è la cosa più importante, il tempo. Perché sono sicuro che anche lei l’ha sperimentato nel suo lavoro, se, come immagino, ha degli amici, una famiglia, una compagna, magari dei figli, e sei lontano da loro, dai tuoi affetti più cari. Se stai fuori casa, anche per 14, 15 ore al giorno, via dalle persone che contano e dalle cose che ami, e tutti noi dobbiamo guadagnarci da vivere, speri allora che possa essere per qualcosa per cui valga la pena. Quindi il primo modo per averne certezza è dire sì alle grandi cose. Nel mio caso, le grandi storie richiedono comunque sempre tempo: la quantità, però, non è uguale alla qualità, per questo vaglio le opportunità giuste in cui so di poter dare la giusta energia, attenzione, impegno emotivo. Tutto inizia appunto con la storia, qualunque sia il lavoro da fare, come attore, se mi trovo di fronte a qualcosa di cui voglio sentire: non parlo solo di intrattenere, ma di ampliare la conversazione artistica su più temi.

Vedersi in un doppio ruolo, che effetto fa?

Ci si sente un po’ Mark Ruffalo (il riferimento è alla miniserie, Un volto, due destini, ndr), di cui sono fan ovviamente. Cerchi di creare piccole sottigliezze, differenze, in modo da poter gestire entrambe le personalità, anche in maniera dinamica, nel movimento del corpo, nelle gestualità, e questo ti porta a vivere due esperienze attoriali ben distinte. È stato come un gioco da trasformista: uscivo dalla scena, mi cambiavo d’abito velocemente, andavo al trucco, e tornavo dalla telecamera pronto a essere l’altro, o l’originale, a seconda.

Swan Song è anche il suo primo lavoro da produttore: se lo immaginava così il debutto?

Leggere il copione talvolta è come vedere l’ecografia di un bambino in procinto di nascere. Sembra sano, riesci a vederne le braccia, il cordone ombelicale, ogni cosa pare andare per il verso giusto, poi quando nasce tendi a essere protettivo da chi lo giudica, anzi ti offendi se qualcuno lo definisce “brutto”. Questo è il paragone per provare a spiegare quanto il progetto mi abbia ispirato ed eccitato fin dalle prime idee prima che prendesse forma nel suo processo. Dal quel momento però ci sono fasi, che possono durare anche oltre nove mesi, in cui i sentimenti si rincorrono, incroci le dita, speri, preghi che tutto proceda bene, sei davvero in fibrillazione.

Il carico di emozioni tocca anche la solitudine e la gelosia. Crede che non siano affrontate abbastanza oggi?

Siamo di fronte ad una combinazione di sentimenti e cose. Per quanto i social media ci connettano e permettano di sentirci come se avessimo una sorta di comunità “là fuori”, in realtà percepisco come se anche le persone si sentano spesso più sole o più nascoste, in un certo modo. Dobbiamo esserne consapevoli. La gelosia del mio personaggio? Non credo che questo sia necessariamente un punto forte della storia, si tratta più del fatto che non può comunicare davvero alla moglie qualcosa di cruciale, anzi deve guardare se stesso, rimuoversi da tutto, vedere qualcun’altro che prende il suo posto. Questo lo fa sentire frustrato, indifeso, tagliato fuori, il che fa emergere alcuni sentimenti che sono un po’ più complicati: è impotenza. Quando accade si può trasformare in rabbia, mancanza di elaborazione, sono emozioni che possono risultare tossiche.

La pandemia ha cambiato molti di noi, anche nel modo di guardare le cose, nei gusti. È successo anche a lei?

Penso che tutti i cambiamenti che stavano avvenendo nella nostra cultura e società si siano accelerati, specialmente quando parliamo di virtuale, o legato al digitale, ai computer, alle piattaforme. E se non avessimo avuto la pandemia? Probabilmente avremmo ritardato di cinque anni questo momento in cui alcune cose stanno diventano routine, regolarità, tipo la nostra conversazione su Zoom, e quant’altro. Quindi penso che la pandemia abbia spinto le persone ulteriormente verso un desiderio di maggior potere e controllo su ciò che stanno guardando.

Cosa si augura davvero per il settore?

Spero che le persone continuino a coltivare il loro rapporto con il cinema, poiché è l’ultimo vero spazio sicuro per un regista, per vedere i suoi film inseriti in uno scenario pubblico, là dove può inviare messaggi, raccontare anche la sua di storia. Ma sento anche che bisogna dare alle persone quello che vogliono, e se le persone vogliono mettere in pausa qualcosa, “saltando” su Twitter e Instagram per un secondo, beh non puoi certo ignorarle. L’obiettivo rimane creare una storia che raggiunga la gente e possa risuonare famigliare pure a loro, ma la nostra cultura sta cambiando: possiamo sederci, lamentarci tutto il giorno, oppure provare a seguire il flusso, trovando modi diversi per connetterci al pubblico. Swan Song è un film che secondo me può essere molto forte nelle sale, sul grande schermo, ma, ugualmente, funziona nelle mura domestiche, da guardare insieme o singolarmente: ha una natura emotiva così catartica, capace di andare oltre il luogo fisico, perché sa premere proprio su certi pulsanti. Non importa come qualcosa viene raccontano, ma come lo guardiamo.

La tecnologia, lo vediamo, ha un ruolo non marginale, attraverso tanti gadget interessanti. C’è qualcuno che vorresti esistesse nel mondo reale, a cui non rinuncerebbe?

Guidare le auto, ad esempio, è una passione. Pensare ci sia un mezzo in futuro che mi accompagni dove voglio, senza autista, e mi consenta di fare un pisolino, rispondere a delle mail, certo è allettante, ma perderei il piacere di mettermi al volante, mi metterebbe a disagio ecco. Forse il robot che porta il caffè al mattino o qualcosa del genere, ed elargisce barrette, snack, a richiesta, quello lo accetterei volentieri.

Il concetto di “clonazione” ha attratto molti per anni e continuerà. Mi chiedo come si senti al pensiero che in futuro la potrebbero davvero sostituire o replicare.

Sono sicuro che accadrà, possono assumere dei cloni più economici degli attori viventi, mi preoccupa, ma è inevitabile, affascinante. Quello che noi vediamo nei film, spesso sono le espressioni della nostra immaginazione, le quali cercano di trovare modi per realizzare una realtà alternativa. Basta rivedere l’universo di Star Wars, già fin dal 1977, di come Obi Wan-Kenobi appaia (e scompaia) a seconda dalle scene. Lo possiamo fare, pure nella musica: sul palco, ad un concerto, una band arriva sotto forma di ologramma, verrebbero acclamati lo stesso probabilmente.