La visione radiante di Keith Haring. 100 opere per riscoprire un genio della street art

La visione radiante di Keith Haring. 100 opere per riscoprire un genio della street art

di Paolo Lavezzari

La grande antologica all’Orangerie della Villa di Monza ripercorre l’intera carriera del grande artista americano

In Italia Keith Haring ce lo portò il gallerista Salvatore Ala, che ne aveva esposto, in una collettiva datata settembre 1983 accanto a opere di Kenny Scharf, Ronnie Cutrone e James Brown, i classici omini radianti tracciati a spray su teloni per camion. Elio Fiorucci, uno che per le tendenze aveva un fiuto infallibile, ne rimase folgorato e, subito a ottobre, gli chiese di decorare il suo celebre negozio in Galleria Passerella, a Milano. L’intervento di Haring fu totale, non un centimetro rimase bianco e per il pubblico fu davvero uno shock e la sua popolarità in Italia gli guadagnò negli anni successivi numerosi inviti a tornare, non solo per mostre personali, ma anche per grandi commissioni, cime lo straordinario ultimo murale a Pisa: Tuttomondo realizzato nel 1989, poco prima della scomparsa, mentre già gli amici  Warhol (di cui è stato l’erede artistico) e Basquiat se ne ne erano andati.


Keith poses with models wearing clothing painted with his designs

Ci sono poi stati gli anni degli alti e bassi quando la fama dell’artista e la rilevanza anche pionieristica della sua attività sono stati messi in ombra dalle nuove mode e dallo sfruttamento in tutte le salse delle figure e dei simboli del suo vocabolario per immagini. Tutto questo per dire che oggi, a 30 anni e più di distanza (diventano oltre 40 quando si pensa che gli esordi underground di Haring sono di fine anni 70) la mostra Keith Haring. Radiant Vision che si apre all’Orangerie della Reggia di Monza (30 settembre-29 gennaio 2023) è una bella occasione per riflettere con lo giusto distacco – anche temporale – sull’opera dell’artista americano. L’ampiezza della sua frenetica attività è testimoniata dal fatto che le oltre 100 opere esposte provengono tutte da una collezione privata; c’è molta grafica (litografie, serigrafie, manifesti), ma anche disegni su carta a fare ripercorrere l’intero arco della breve quanto prolifica carriera di Haring. Si parte dai disegni degli esordi, quelli fatti a gessetto nelle stazioni della metro di New York, poi la street art, il lavoro commerciale. 

Assisted by fellow artist Juan Dubose, artist Keith Haring paints a large mural at East Houston Street and The Bowery. The installation is said to be Haring’s first large-scale public work. Summer, 1982

Le nove sezioni seguono un percorso cronologico così da spiegare la nascita e la maturazione di un linguaggio visivo semplice quanto incisivo e unico e nel tratto e nei colori sempre vivaci; un linguaggio e un messaggio che per i temi trattati – la giustizia sociale, la discriminazione, l’AIDS, l’omosessualità – è quantomai attuale. Da segnalare un  paio di cose: la Kalish Suite, la serie di incisioni realizzate a quattro mani con Sean Kalish, allora un bimbo delle elementari, e Medusa Head, la più grande stampa mai realizzata da Haring, lunga più di due metri e alta quasi un metro e mezzo, creata in collaborazione con il tipografo danese Borch Jensen che, dopo aver conosciuto Haring a una cena, ha invitato l’artista a sperimentare la sua macchina da stampa, lunga tre metri, appena installata.