Fulminati da Thru Collected

Fulminati da Thru Collected

di Patrizio Ruviglioni

Il futuro della musica italiana? Forse passa da questo collettivo di giovanissimi artisti impossibile da etichettare

Prima regola del Thru Collected: non ci sono regole. «Anzi no, dài, una c’è: volerci bene». Ok, e sul lavoro? «La parola “lavoro” è bandita». Ridono. Spoiler: un lavoro, tutto questo, lo è eccome. «Ma facciamo come se non lo fosse».

Di loro è stato scritto che sono il futuro della musica italiana, che hanno riportato l’underground al centro («Le rivoluzioni vengono sempre dal basso») e che sono insieme antichi e moderni. Le etichette, però, non erano nell’orizzonte di questo manipolo di ragazzi, quasi tutti generazione zeta, da Napoli, quando alla fine del primo lockdown, nel 2020, si sono ritrovati a fare musica insieme. «Non volevamo porci domande, solo andare. Eravamo già amici e lo siamo ancora. Gli altri danno definizioni, non noi. Ma siamo curiosi di come ci percepiscano».

Thru Collected
I Thru Collected

Una, per ora, è passata al vaglio, ed è «collettivo»: il Thru Collected è, da nome, un collettivo. Solo che, se negli anni 70 tutto questo significava ideologie e proclami, ora è il contrario. Ma anche la liquidità è una scelta, pure se qui è più una factory che un collettivo studentesco, e lo spirito è selvaggio, poco aziendalista, ma non ingenuo. «Rispetto a un gruppo tradizionale, da noi ciascuno mantiene la propria individualità». C’è chi, come Altea, è già avviata in parallelo da “solista”. «E poi chi si occupa delle grafiche, dei live e il resto. Facciamo quasi tutto da soli, non siamo solo “cantanti”».

Stare al loro passo è difficile: non entrano nelle gabbie di oggi, non sanno di preciso quanti sono (almeno 12, dipende dai ruoli), cominciano quest’intervista in tre, ma alla fine, tra ragazze e ragazzi, sono il doppio, con finestre che vanno e vengono da Zoom, una che trasmette da un bar e un altro da Milano; non si contraddicono, ma ciascuno ha la propria voce. Le abbiamo trasformate in una unica, con cautela: «Siamo degli outsider, ciascuno nel proprio campo».

Thru Collected
Il collettivo Thru Collected

Ma d’altronde è dura stare al passo anche del loro ultimo album, Il grande fulmine, «una playlist» micidiale di 30 tracce in cui dal pop vanno al rap, dal rap all’urban, dall’urban al cantautorato e così via. «Spesso si parte dalla musica, su cui ciascuno scrive la propria parte». Vanno per combinazioni, non sempre partecipano tutti. «L’importante è che nessuno limiti l’altro ma lo stimoli». La critica li ama per nostalgia, i giovani per attualità. Per un vascello corsaro così, è comunque tanto. «Forse siamo generazionali. Non scriviamo canzoni “contro”, ma senza filtri. E i ragazzi si rivedono in noi».

Quanto durerà? Il Thru Collected è un’utopia, uno splendido casino organizzato appeso a un filo, il brodo primordiale del nuovo pop o una macchina programmata per distruggere? E chi decide, poi, quand’è il momento? Mi dicono che qualcuno che tira le fila c’è, ma ora non è tra noi. Tanto la direzione, dicono, è condivisa. Però non è un patto di sangue, questo, ma una promessa tra amici.

«L’unica paura è fare lo schifo in studio; cerchiamo di non lasciare troppa spazzatura, di restare concentrati». Sorridono, sono serissimi. I grandi palchi sono nel destino? «Non ci spaventano, purché arrivino a modo nostro». Per adesso, questo modo è solo loro. E viene il dubbio che a 20 anni si possa aver già capito tutto: è che poi ci si dimentica.