Perché al cinema i cattivi vivono in case favolose?

Perché al cinema i cattivi vivono in case favolose?

di Alessia Delisi

Se lo domanda l’architetto americano Chad Oppenheim nel libro Lair, che esplora le abitazioni moderniste di alcuni tra i più celebri villain della storia del cinema hollywoodiano

All’età di sette anni l’architetto americano Chad Oppenheim ricevette in regalo dal padre una videocassetta di Agente 007 – L’uomo dalla pistola d’oro. Era il 1978 e a James Bond, interpretato allora da Roger Moore, Oppenheim sembrava già preferire il pericoloso Francisco Scaramanga e il suo avveniristico nascondiglio scolpito nella roccia di una remota isola della Thailandia. Non deve sorprendere, da tempo i cattivi del cinema non abitano più in squallidi tuguri, ma hanno case lussuose, accoglienti, funzionali, il cui linguaggio progettuale guarda ai pionieri del Movimento Moderno, esprimendo spesso le potenzialità tecnologiche di materiali come il vetro e l’acciaio. A dirlo è lo stesso Oppenheim che nel libro Lair. Radical Homes and Hideouts of Movie Villains, scritto con Andrea Gollin e pubblicato da Tra Publishing, stana quindici cattivi nelle loro abitazioni. Dalle scenografie di Ken Adam per i film di James Bond e per Il Dottor Stranamore: ovvero come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba di Kubrick fino alle residenze realizzate da John Lautner in California, Lair va così all’origine dell’architettura moderna, domandandosi perché, contrariamente alle buone intenzioni dei suoi fautori, Hollywood abbia finito con l’ambientarvi un vasto campionario di azioni criminose e comportamenti illeciti. La ragione è presto detta: la moderna architettura domestica, come spiega nel suo saggio introduttivo il direttore del Frye Art Museum di Seattle, Joseph Rosa, ha a lungo rappresentato una minaccia per l’American way of life e i suoi valori essenzialmente conservatori. 

Gli americani, continua Rosa, non hanno mai pienamente accolto la modernità in casa, né hanno sentito il desiderio di cominciare da zero, come alcuni membri del Bauhaus teorizzavano – lo dimostra il successo del revival in ambito architettonico – e questo spiegherebbe per quale motivo al cinema il minimalismo di acciaio, vetro e tetti piani abbia fornito lo scenario adatto a una nuova generazione di criminali – benestanti, istruiti, aristocratici nell’aspetto quando non nel pedigree.

 Si veda la casa di Millennium – Uomini che odiano le donne, ovvero la svedese Villa Överby di John Robert Nilsson, o quella di Ex Machina, dove la natura in cui è immerso il rifugio di un novello Frankenstein (risultante dall’unione di due progetti di Jensen & Skodvin, tra cui il Juvet Landscape Hotel di Alstad, in Norvegia) nasconde un opprimente sotterraneo e con esso gli oscuri propositi dello scienziato. Ma si veda anche la Chemosphere di John Lautner che in Omicidio a luci rosse di Brian De Palma diventa quasi un doppio del protagonista. Sospesa nel vuoto, sorretta da un solo pilastro centrale di cemento, la celebre casa ottagonale dai contorni vetrati che si affaccia come un disco volante sulla San Fernando Valley di Los Angeles – sede dell’industria americana del cinema porno – consente infatti l’appagamento della perversione voyeuristica di un attore disoccupato. Tra gli esempi di set costruiti appositamente per le riprese non manca poi la claustrofobica Stanza della Guerra disegnata da Ken Adam – il quale più di ogni altro avrebbe influenzato il lavoro di Oppenheim – per Il Dottor Stranamore dopo che Kubrick lo aveva notato in Agente 007 – Licenza di uccidere. Costruito negli studi inglesi di Shepperton come un bunker dalla forma triangolare e le pareti di cemento, con un anello luminoso che sovrastava gli attori seduti attorno al grande tavolo rotondo, questo spazio è, a detta dello stesso Adam, il miglior allestimento scenico da lui mai realizzato, talmente realistico da indurre l’allora neopresidente degli Stati Uniti Ronald Reagan a chiedere della Stanza al Pentagono. Accanto, anche l’illusionistica abitazione in cima al Monte Rushmore che per Intrigo internazionale Hitchcock fece creare da Robert Boyle sul modello della Fallingwater di Frank Lloyd Wright, non potendosi permettere le esorbitanti cifre richieste dall’architetto (pari al dieci per cento dell’intero budget) per la realizzazione di un set. 

Ogni film è oggetto di un’analisi accurata che alle immagini degli interni affianca i visionari rendering di Carlos Fueyo (Playard Studios), capaci di tradurre questi spazi in ambienti reali nei quali avventurarsi. Strizzando l’occhio all’estetica noir – il libro è stampato con inchiostro argentato su carta nera – Lair riannoda i fili di uno stereotipo di successo e rinviene nella memoria hollywoodiana un’inconfessabile attrazione, quella del male per il design moderno.


Il rifigio di Nathan Bateman in Ex Machina. Courtesy of Mongrel Media. © Universal Pictures