The Velvet Underground e la visione sonora di New York

The Velvet Underground e la visione sonora di New York

di Federico de Feo

Il nuovo documentario di Todd Haynes sulla parabola artistica dei The Velvet Underground, è un chiaro omaggio alle avanguardie culturali di un’eclettica New York primi anni “60

Scindere l’evoluzione dei Velvet Underground dal flusso artistico e sociale che si svolse a New York nei primi anni 60 non permetterebbe di comprendere a pieno l’importanza di una band così rappresentativa ed iconica di quel determinato periodo storico-culturale, fulcro narrativo su cui oggi si concentra il nuovo documentario realizzato da Todd Haynes.

I movimenti artistici newyorkesi del 1960

New York negli anni 60, a differenza della West Coast dove imperava la “rivoluzione” del peace and love del movimento hippy, fu il teatro della rabbia e dell’oscurità americana. Come disse Mary Woronov, figura di spicco della factory di Andy Warhol: “Noi eravamo per il sadomaso, loro per l’amore libero, elemento che riassume perfettamente l’opposta visione del mondo che caratterizzava  le due coste. L’apparente prosperità newyorkese aveva causato un’indulgenza materiale, terrore dell’imminente annientamento nucleare e violenza causata dalle continue divisioni razziali nei confronti della comunità afroamericana ed LGBT che sfociarono nella creazione di nuove forme artistiche basate sull’analisi di personaggi “sotterranei”, spesso emarginati, inseriti in un contesto distorto, squilibrato e postmoderno. 

In particolar modo la nuova avanguardia cinematografica newyorkese (New American Cinema Group), nata nel 1960 e guidata dal regista lituano Jonas Mekas, iniziò a raffigurare visioni che andavano in contrapposizione con l’establishment americana. Fedeli al nervosismo irrefrenabile della strada e impegnati nella descrizione delle attività estranee alla società moderna, questi film furono soggetti a notevoli limitazioni dettate da numerose pratiche di censura governativa.


Fotogramma d’archivio in split screen di “The Velvet Underground”

Lo stesso Mekas li descriveva come “esperienze mai registrate prima nelle arti americane; un contenuto che Baudelaire, il marchese de Sade e Rimbaud hanno dato alla letteratura mondiale un secolo fa e che Burroughs ha dato oggi alla letteratura americana. È un mondo di fiori del male, di luminarie, di carne lacerata e straziata; una poesia che è insieme bella e terribile, buona e cattiva, delicata e sporca”. Tale immagine visiva ed estetica divenne il fondamento della nascente cultura pop dove capitalismo e sfreccianti visioni al neon di crimine, sessualità e morte divennero il mezzo per raccontare il dilagante ed alienante squilibrio sociale. Come elaborato da Andy Wharol, l’uomo diventa una macchina replicabile in più forme diventando egli stesso un prodotto di massa. La cultura pop cerca di offrire alla gente una distanza psichica istantanea. Prende qualsiasi cosa e la gira per dare di essa un’immagine riflessa” (Richard Goldstein)


Paul Morrissey, Andy Warhol, Lou Reed e Moe Tucker da materiale fotografico d’archivio

La nascita dei The Velvet Underground e la factory di Andy Warhol

Contemporaneamente allo sviluppo della nuova cultura Pop un giovane compositore gallese di nome John Cale, appena arrivato a New York per studiare il minimalismo di John Cage e La Monte Young, insieme a Lou Reed, promettente songwriter al soldo della Pickwick Records di Long Island,  cominciarono ad inglobare ed a rappresentare musicalmente la visione violenta di New York in una nuova avanguardia musicale. Sia nella forma compositiva di Cale che nei primi testi di Reed si percepiva l’esigenza di mostrare l’inevitabilità di un cambiamento sociale in cui la musica diventava sia espressione di un nuovo scenario da raccontare che rappresentazione sonora della ciclicità della cultura occidentale americana.

Come raccontato da John Cale durante il suo primo incontro con Lou Reed a Ludlow Street: “Quando ascoltai per la prima volta Lou mi stese completamente. Testo e musica erano così seducenti e devastanti allo stesso tempo. In più le sue canzoni si adattavano perfettamente al mio ideale di musica. In molti dei suoi pezzi c’era un elemento comune che portava alla distruzione del personaggio. Era il Metodo applicato alla musica.


Immagine di archivio di Lou Reed tratta da ” The Velvet Underground”

La genesi dei Velvet Underground avvenne al 450 di Grand Street in un piccolo appartamento non riscaldato dell’East Side dove si registrò il primo happening rituale, spettacolo multimediale, a cui presero parte sotto la direzione del regista Piero Heliczer, figura di spicco del nuovo cinema underground.

Ci volle poco perché la loro musica arrivasse anche alla Factory. Andy Warhol, che li vide per la prima volta al Cafè Bazar, percepì in loro il catalizzarsi del suono acido e oscuro di New York tanto da renderli i protagonisti indiscussi dei suoi progetti principali di avanguardia artistica come Andy Warhol Up Things e L’Exploding Plastic Invitable, espressione artistica di un paese e di una società che avanzavano a rotta di collo verso la violenza indiscriminata, degrado ambientale ed ipermaterialismo. Come spiegò in seguito Lou Reed “Andy Warhol mi disse che quello che facevamo noi con la musica era la stessa cosa che stava facendo lui con la pittura, i film e la scrittura – senza mezzi termini. Nella mia testa nessuno stava facendo qualcosa nella musica che si avvicinasse a qualcosa di vero ed assolutamente realistico tranne noi”.


Moe Tucker, John Cale, Sterling Morrison, Lou Reed in un’immagine marchio tratta da ” The Velvet Underground”

Attraverso un’installazione frenetica ed artistica di suoni ed immagini Todd Haynes ci racconta l’epopea di una band che fu precursore di una nuova via musicale ed estetica che si concretizzò attraverso le sperimentazioni di John Cale con l’utilizzo dei riff di chitarra come bordoni per rappresentare il subbuglio di New York, ed il racconto notturno di Lou Reed nei meandri di una società reale e non filtrata dalla Summer Of Love. “New York è piena di rumori privi di significato, che potrebbero essere la sua grazia redentrice” (Lou Reed)

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