In una mostra, i ritratti del fotografo milanese. Che racconta anche di sé

Si intitola Lo sguardo restituito la mostra che raccoglie i ritratti di una vita. Quella di Uliano Lucas, il fotografo che, attraverso i suoi scatti, ha raccontato mondi, epoche, sensazioni e sentimenti. Per lui, infatti, fotogiornalismo                 significa fermare in un’istantanea un universo di  mondi. Tra politici, amici, intellettuali, artisti e scrittori.

Truman Capote, Elio Vittorini, Natalia Ginzburg, Eugenio Montale, Guido Piovene… Lucas, può raccontarci uno o due aneddoti riguardo a qualcuno di quei ritratti?

«Più che aneddoti, di alcuni incontri ho ancora un un ricordo forte di particolari delle persone ritratte, del loro carattere, dei loro atteggiamenti: il timbro della voce, i temi della conversazione, l’atmosfera, gli spazi in cui le ho fotografate. I caffè del quartiere Ticinese per Alda Merini, che, quando si preparava per il reportage, diceva “mi metto elegante per l’Uliano”, la veranda “coloniale” di Piovene, nella sua splendida villa di Induno Olona, la voce di Amalia Rosselli, che, nella sua mansarda romana, mi raccontava dei suoi incubi e dei suoi dialoghi con gli extraterrestri, e ancora ricordo la la gentilezza di Elio Vittorini che posava pazientemente alla Darsena di Milano davanti all’obiettivo di un giovane fotografo impegnato in uno dei suoi primi racconti fotografici. Era il 1959. Sono in genere sempre stati incontri segnati dalla stima, dal rispetto, a volte dalla simpatia e comunanza di idee, altre da una forte amicizia e complicità, fattori che si riflettevano poi nelle fotografie, nella qualità e spontaneità degli scatti. Anche se in realtà ho sempre trovato di grande fascino e verità quel racconto di Henri Cartier Bresson sul suo incontro con Marie Curie, Nobel per la fisica e la chimica. Bresson salì al secondo piano di una bella casa borghese parigina, suonò il campanello e la massiccia porta si apri lentamente, lasciando intravedere il volto di una donna minuta, vestita in nero che si affacciava esitante e curiosa. Era quella la foto che avrebbe voluto scattare, ma che non ebbe la prontezza di fare, non le immagini riprese in seguito all’interno della casa, che non avrebbero dato, quanto la prima, il senso del personaggio. E’ che è proprio della fotografia e del mestiere di fotografo anche perderlo “l’attimo fuggente”, non solo “catturarlo”».

Leggeva le loro opere prima di ritrarli? Le è capitato, per qualcuno, di leggerle solo dopo averli ritratti? Le è successo di giudicare diversamente un autore dopo averlo ritratto?

«Sono sempre stato un lettore vorace e onnivoro, era raro che non conoscessi le opere di chi andavo a fotografare, ma in alcuni casi, in vista dell’incontro, approfondivo o rileggevo gli scritti di quell’autore. Devo però dire che la loro poetica, la loro opera non è mai stata al centro della costruzione del mio racconto, nel senso che come reporter cercavo di mostrare l’uomo, non di mettere in scena l’opera. Non sono un fotografo concettuale, né un ritrattista e il reportage su una persona, uno scrittore, un artista, per me è sempre stato il tentativo di restituire il modo di essere della persona ritratta e tutto quello che gli sta intorno e gli appartiene e che può dare l’idea della sua giornata, dello svolgersi del suo lavoro, della sua cultura e delle sue passioni. E’ un racconto che si costruisce con la complicità della persona che ti sta di fronte, non ragionando a priori su come comunicare il senso della sua opera. Se manca un’intesa, si avrà un cattivo racconto, che suona di falso.

Solo una volta mi sono discostato da questa scelta di rappresentazione, quando in un lungo reportage dal titolo “Gli scrittori e il loro mezzo”, ho voluto raccontare non solo il singolo autore ma appunto il rapporto dello scrittore con il suo strumento di lavoro: la macchina da scrivere, il computer, la penna e il foglio di carta, fotografando le mani mentre toccano la tastiera, e il tavolo da lavoro, pieno di libri, di carte vergate. E’ stato il tentativo di dare una rappresentazione fisica, concreta, al momento creativo, di dare un volto alla concentrazione, al raccoglimento, al confronto dell’autore con le sue idee e con lo strumento che deve veicolarle. Anche se poi al di là del valore simbolico dell’immagine, la personalità del singolo riemergeva appunto nelle specifiche modalità di lavoro.

Quanto all’influenza che può avere la conoscenza della persona sul giudizio sul suo lavoro, no, non c’è mai stata, anche quando ho incontrato personaggi dall’atteggiamento sussiegoso o distaccato, l’ho accettato come tratto del loro carattere, e non mi sono fatto condizionare nella valutazione della loro opera».

Da vedere, incondizionatamente.

Lo sguardo restituito. Fotografie di Uliano Lucas

dal 7 marzo al 5 aprile

Ca’ di Fra’ Arte Contemporanea, Milano, Via Carlo Farini 2, tel. 02 29002108.