Tradizione, innovazione… e polenta: intervista allo chef del Met di Venezia

Situato nel centro di Venezia, a due passi da piazza San Marco, sulla riva che guarda l’isola di San Giorgio Maggiore, il ristorante Met è nella posizione ideale per assumere il ruolo di ambasciatore della cucina italiana. Lo chef Luca Veritti, neo stellato Michelin, conferma infatti che ‘la maggior parte della clientela è straniera’. Come coniugare, dunque, la tradizione e la creatività in un contesto così peculiare? La risposta è nella cucina tracontemporanea.

‘È un’idea del nostro consulente, Oscar Cavallera – ci racconta Veritti -. Noi partiamo dalla cucina tradizionale italiana, la parte ‘tra’ di tracontemporanea, e proponiamo un piatto fatto come lo facevano le massaie e le nonne. Accanto, proponiamo la sua versione innovativa, che mantiene quasi tutti gli ingredienti tradizionali ma aggiunge un tocco di creatività. Abbiamo due menù, uno tradizionale e uno contemporaneo, e siccome il grosso della nostra clientela è costituito da coppie, finisce che ordinano entrambe le versioni, una a testa, e poi si scambiano i piatti’.

Il doppio menù cambia a seconda della stagione: ‘Cerchiamo di tenere sempre un piatto del territorio, non solo di Venezia ma del Veneto in generale, e poi spaziamo dal nord al sud Italia. Di solito in primavera/estate si tende verso il sud e in autunno/inverno tendiamo verso il centro-nord’.

C’è anche spazio per i gusti personali di Luca Veritti: ‘Propongo anche un antipasto, primo e secondo che sono i miei piatti, né tradizionale né contemporanei: sono quelli che mi piacciono e che quindi metto in menù. Io sono friulano, precisamente carnico di Tolmezzo, e tendo sempre ad avere un piatto della mia terra o comunque ad avere gli ingredienti che la ricordano’.

Le radici ben piantate a Tolmezzo rimandano ai primi ricordi legati alla cucina, quelli del pranzo domenicale che riuniva tutta la famiglia e vedeva nonne, zie e mamme impegnate in cucina: ‘Mi capitava di buttare l’occhio nella pentola, di guardare quello che facevano, quali ingredienti utilizzavano, come ad esempio preparavano la polenta, per dire di un piatto che da noi non manca mai’. Anche perché la polenta è ancora oggi una sorta di rito: ‘Mia mamma me la fa ogni volta che vado a trovarla, a prescindere dalla stagione: se vado il 15 di agosto, c’è comunque la polenta’.

Essere friulani significa anche crescere imparando ad apprezzare ‘una cucina abbastanza sostanziosa’. Ecco perché al ristorante Met ‘mi sono attorniano di gente mangiona. Uno che non mangia non lo vorrei in cucina con me, voglio qualcuno che sia una buona forchetta, che ami assaggiare quello che facciamo, perché prima deve piacere a noi. Un mio grande maestro mi diceva sempre che prima bisogna fare da mangiare bene per noi stessi: se viene bene, allora viene bene anche per i clienti’.

L’arrivo della stella Michelin ha premiato questo atteggiamento: ‘Nessuno avrebbe mai creduto di riceverla dopo soli diciotto mesi. È un po’ come vincere l’Oscar per un attore, è il coronamento di un sogno. Ma onestamente la mia vita non è cambiata, continuo a fare quello che facevo prima, a parte qualche intervista, partecipare a qualche evento come ospite eccetera, anche se non amo stare sotto i riflettori e sono molto più a mio agio in cucina. Quello che mi interessa è continuare a lavorare cercando sempre di migliorarmi’.

Si punta alla seconda stella? ‘Intanto ci godiamo la prima e facciamo in modo di mantenerla. La seconda è un traguardo molto ambito ma anche molto difficile da raggiungere, perché ci vogliono grandi investimenti e questo non è il periodo per investire tanti soldi. Ho lavorato ad esempio da Vittorio, che ha tre stelle Michelin, e da Marchesi che ne ha due, e il personale in sala e in cucina è decisamente più numeroso. Noi lavoriamo in sei in cucina, e mi ricordo che da Marchesi eravamo diciassette. Non dico che con sei non si possa prendere la seconda stella, però… adesso bisogna coltivare questa’.