Jaguar Land Rover e One Ocean Foundation insieme per la tutela del mare

Jaguar Land Rover e One Ocean Foundation insieme per la tutela del mare

di Angelo Pannofino

Jaguar Land Rover Italia torna in Sardegna con Range Rover al Waterfront Costa Smeralda per inaugurare la prima Range Rover House in Europa e sostenere le iniziative di One Ocean Foundation

Cosa centra Land Rover con il mare? Non usa proprio queste parole, Riccardo Bonadeo, garbatissimo presidente di One Ocean Foundation, ma il senso è più o meno quello quando, rivolgendosi alla direttrice della comunicazione della Casa inglese, le dice: «Vi siamo davvero molto grati per quello che fate ma mi tolga una curiosità: come mai un brand automobilistico come il vostro ha deciso di sostenere la nostra fondazione?». Apparentemente, infatti, non sembrerebbe esserci un legame evidente tra le due realtà: una, Land Rover, è il segno di terra per eccellenza nel mondo automobilistico, sommo esempio di auto fatte per restare attaccate al terreno in qualunque condizione, che sia sterrato, sabbioso, fangoso, ghiaioso, ghiacciato, innevato. Laltra è un segno di acqua, di mare, una fondazione che si occupa della tutela e salvaguardia degli oceani, costituita dieci anni fa in occasione delle celebrazione del cinquantesimo anniversario dello Yacht Club Costa Smeralda e nel corso del tempo affermatasi a livello internazionale.

Eppure il legame c’è, eccome: Jaguar Land Rover centra col mare esattamente come il giaguaro centra col plancton. Nella natura tutto è collegato e salvaguardare il plancton vuol dire salvaguardare anche il giaguaro. Basta usare la maiuscola e lattaccamento alla terra dei suoi SUV inchiodati al terreno diventa anche attaccamento alla Terra, intesa come pianeta.

Assumendo un punto di vista olistico, quindi, ognuno può e deve fare la sua parte, lo ribadisce con gran convinzione anche Marco Santucci CEO Jaguar Land Rover Italia: «Per noi, il tema della sostenibilità è centrale, è un obiettivo a cui tendere che si esprime in un impegno tangibile e continuativo del gruppo. Personalmente, sono convinto che sia dovere etico di ogni azienda dare segnali concreti per agevolare la transizione ecologica. La scelta di questa vicinanza con One Ocean Foundation si inserisce perfettamente in questa strategia che privilegia partner con cui condividere valori etici e impegno sociale a vantaggio di una qualità di vita migliore per tutti: in questa direzione il viaggio che porteràJaguar Land Rover a divenire, entro il 2039, unazienda a zero emissioni di carbonio è già iniziato».

Jaguar Land Rover ha quindi deciso di sostenere il progetto One Ocean Foundation per ottime ragioni: perché è una realtà che si occupa di salvaguardia del mare, e dal mare dipende la neutralizzazione del 70% della CO2 presente nellaria, ma anche per il suo stretto legame con lo Yacht Club Costa Smeralda, di cui il gruppo Jaguar Land Rover è partner per il secondo anno consecutivo in veste di Official Automotive Partner.


Jan Pachner, Segretario generale di One Ocean Foundation

Insomma, c’è la giusta dose di glamour, irrinunciabile per un brand di lusso come Land Rover, la cui filosofia, non a caso, è chiamata appunto “modern luxury”, ma c’è anche tanta sostanza, perché il sostegno a One Ocean Foundation è concreto e ha permesso di svolgere attività preziose per la tutela del nostro mare.

Abbiamo avuto modo di toccarlo con mano durante una tre giorni sarda tra terra e acqua, mari e monti, come si diceva nei menù anni 80, tra avventurose escursioni in fuoristrada a bordo dei nuovi modelli Discovery e Defender, tra le aspre meraviglie delle colline galluresi, alternate a parentesi chic con giretti a bordo di un Wallytender del gruppo Ferretti, altro partner di Jaguar Land Rover nonché vicino di casa sul Waterfront di Porto Cervo, dove la Casa inglese ha inaugurato la Range Rover House in cui ospitare incontri e mostrare in concreto in cosa consiste il modern luxury, con esposizione dellultimo stratosferico modello di Range Rover oltre che dei vari materiali utilizzati per la costruzione delle auto del gruppo.


Avventura, glamour ma soprattutto impegno per lambiente, in un pomeriggio in mare a bordo del catamarano ONE che il Centro Velico Caprera ha messo a disposizione della One Ocean Foundation per sostenere il Progetto M.A.R.E. (Marine Adventure for Research and Education) di cui la fondazione è partner scientifico: una campagna di ricerca e monitoraggio dello stato di salute del Tirreno che ha tenuto il catamarano in mare per piùdi 1500 miglia marine. A bordo, tra giovani tesiste e un capitano coraggioso e simpaticissimo, cera anche Ginevra Boldrocchi, giovane e brillante biologa marina dellUniversità dellInsubria, che collabora con One Ocean, nonché la persona più adatta a spiegare perché questa ricerca è stata così importante: «Quando il Centro Velico Caprera ci ha invitato a far parte di questo progetto ovviamente abbiamo accettato con piacere, perchéuno dei temi di One Ocean è fare ricerca e cercare soluzioni per i problemi del nostro mare». Il mare nostrum, il Mediterraneo è, infatti, «un mare fondamentale: pur essendo un bacino molto piccolo, che rappresenta meno dell1% della superficie globale degli oceani, ha moltissima biodiversità ed endemismi tanto che tra il 4 e il 18% della biodiversità mondiale la troviamo nel Mediterraneo». Per queste caratteristiche, i problemi che ha sono tanti: «I cambiamenti climatici, che su un mare semi chiuso come il nostro, sono ancora più forti; loverfishing, ovvero leccessivo sfruttamento delle risorse ittiche; linquinamento chimico e acustico…». Tanti i problemi, pochissima la ricerca e qui entra in ballo One Ocean Foundation: «Di tante specie considerate importanti per il nostro ecosistema», spiega Boldrocchi, «non abbiamo informazioni: quindi come fai a proteggere delle specie di cui non sai nulla? Non sai dove vanno, di cosa si nutrono ecc. Per questo abbiamo deciso di focalizzarci su due macro-aree: da un parte, capire qual è livello di contaminazione del mare; dallaltra, studiarne la biodiversità».


Grazie alla disponibilità del catamarano e alla navigazione in continua, per tre mesi, dalla Sardegna alla Sicilia, passando per Tropea, Genova per tornare in Sardegna, è stato possibile eseguire una mappatura quotidiana del livello di inquinamento del Tirreno come mai era stato fatto prima: «Ogni giorno abbiamo raccolto campioni di plancton perché il plancton è il primo anello della catena alimentare: tutto quello che sversiamo in mare finisce innanzitutto in questi organismi per poi accumularsi in altri animali come il tonno che mangiamo. Quindi uno dei modi migliori per valutare lo stato di contaminazione di un mare è osservare questi organismi. Abbiamo raccolto qualcosa come 70 campioni diversi che verranno analizzati per cercare diverse cose, a cominciare dai pesticidi: alcuni di questi sono banditi dagli anni 70 eppure li troviamo ancora nei nostri mari e nei pesci che mangiamo. E poi cercheremo tracce di metalli come mercurio e arsenico, anche questi presenti nei pesci che finiscono nei nostri piatti: il tonno, ad esempio, è pieno di mercurio, èun dato di fatto e non dovremmo più mangiarlo».


Lo studio della biodiversità è avvenuto invece con metodi da CSI: raccolta di campioni dacqua e ricerca di tracce di dna. «Attraverso la pelle o lurina tutti gli animali rilasciano tracce del loro dna, un segno del loro passaggio che rimane nellacqua per circa due settimane. Potendo cercare il dna di qualsiasi specie ci siamo concentrati su quelle in via di estinzione, in particolare gli squali, perché il 40% delle specie presenti nel Mediterraneo è a rischio di estinzione. Di loro non sappiamo nulla: non sappiamo dove si trovano gli squali bianchi, i mako, le verdesche Essendo i predatori allapice della catena alimentare sono fondamentali perché regolano tutto lecosistema sottostante. Oltre agli squali abbiamo abbiamo cercato anche tracce di specie di cui siamo data carenti, come ad esempio i cetacei, e di specie aliene, quelle che non dovrebbero essere nei nostri mari ma ci sono, perché il mare diventa più caldo, perché arrivano dal Mar Rosso o perché trasportate involontariamente dalle navi. Nel nostro mare trovano poi un ambiente perfetto, non hanno predatori, perché nessuno dei predatori è abituato a mangiarle, e quindi proliferano, creando spesso molti problemi, come è successo col granchio blu nellAdriatico».

Ora che la prima parte della missione è giunta al termine con successo è il momento dei meritati brindisi con vista sul tramonto glamourissimo di Porto Cervo. I risultati delle analisi dei campioni, invece, arriveranno a ottobre: la speranza, si spera non troppo utopistica, è di poter brindare anche in quelloccasione.