Erling Haaland

Erling Haaland

La magnifica ossessione dell’attaccante norvegese si chiama Champions League. Ha cominciato a inseguirla da piccolo, sul campetto dietro casa, e a 19 anni vi ha esordito andando subito in goal. Ora non gli rimane che vincerla

di  Jason Burt

Ogni sera, Erling Haaland segue una particolare routine per non dimenticarsi di quel che vuole ottenere nel mondo del calcio e di quel che significa giocare al suo livello, ma anche per ricordare a se stesso che sta vivendo il suo “sogno” e che ha già fatto tanta strada da quando ha lasciato la natia Bryne, agreste e pittoresca cittadina sulla riva meridionale del Lago Frøylandsvatnet, a sud di Stavanger, in Norvegia.

La routine consiste nel programmare la sveglia sul suo telefonino. Ogni mattina, Haaland riapre gli occhi al suono di una versione dell’inno della Champions League. «Ce l’ho da un paio d’anni, ormai», dice sorridendo. «È stupenda, quella musica!». Haaland lo ammette: giocare in Champions League è una specie di ossessione, per lui. «Seguivo le partite già da piccolissimo: non ho ricordi in cui la Champions League non sia presente. C’erano grandi squadre con giocatori leggendari che facevano tanti gol. È diventato il mio sogno: giocare in Champions League e segnare tanti gol. È il torneo in cui giocano i migliori: quello è il loro posto». Haaland ha raggiunto questo traguardo e ora si prefigge di diventare una leggenda. Ha solo 20 anni ma pochissimi giocatori hanno avuto un impatto paragonabile al suo, e nessuno in età così precoce.

La sua ascesa è stata folgorante, ma è ben lungi dall’essere conclusa, con grave preoccupazione degli avversari. Per dare un’idea, Haaland ha segnato 20 gol nelle sue prime 14 partite di Champions League, con una tripletta al debutto. Meglio di quanto abbiano fatto Messi, Cristiano Ronaldo Mbappé. Ben pochi giocatori suscitano tanto interesse quanto questo poderoso e vistosissimo attaccante di un metro e novantatré, che nella stagione appena conclusa, giocando con il Borussia Dortmund, ha stabilito il clamoroso record di un gol a partita di media: 41 gol in 41 partite. Gli domando se ha intenzione di continuare a questi livelli.

Gli domando se ha intenzione di continuare a questi livelli. Haaland ride. «A dire il vero, la stagione precedente ne avevo segnati 44 in 40 partite, perciò quest’anno ne ho fatto qualcuno in meno!». Nessuna sorpresa, perciò, quando Haaland si dice d’accordo con Alf Ingve Bernsten – l’allenatore della squadra in cui giocava da ragazzino, a Bryne – secondo cui Erling «non ha paura di niente». «Per quel che riguarda i gol, è senz’altro vero», dice Haaland. «Forse anche per quel che riguarda il calcio. È quello che faccio e che amo fare. È proprio questo il bello: quando gioco cerco di godermi questo sport meraviglioso. Sono semplicemente entusiasta di essere un calciatore professionista, e ho avuto la fortuna di segnare qualche gol. Alcuni di quei momenti sono davvero indescrivibili. Posso dire soltanto che quella sensazione voglio provarla ancora tante volte.

L’ossessione per il calcio, in lui, c’è sempre stata, per quel che ricorda. Ce l’ha nel sangue. È nato a Leeds, in Inghilterra – «è da lì che viene il mio senso dell’umorismo», dice – e suo padre, Alf Inge, ha giocato nelle file di Nottingham Forest, Manchester City e Leeds United, prima di tornare in Norvegia quando Erling aveva quattro anni. «Ricordo che giocavo a pallone con mio fratello maggiore Astor e già allora volevo diventare un calciatore», racconta Haaland, che ha anche una sorella maggiore, Gabrielle. La madre, invece, Gry Marita Braut, è stata campionessa norvegese di eptathlon. «Mi portavo sempre dietro il pallone. Facevo la raccolta delle figurine. Guardavo tutte le partite che potevo e poi riguardavo i gol. Andavo a scuola con il mio album delle figurine e facevo scambi con gliamici per completare la raccolta. Ogni weekend, come prima cosa, si andava al campetto di calcio indoor di Bryne, che era gratis. C’era sempre qualcuno, e ci stavamo intere giornate, un po’ a giocare a calcio e un po’ a zonzo, a passare il tempo. Tutto il giorno così, tutti i weekend. E a pensarci mi tornano in mente tanti bei ricordi. Organizzavamo le nostre sedute di allenamento. Io avevo più o meno dieci anni, prendevo la mia bicicletta e in cinque minuti ero al campetto». Haaland sorride al pensiero. Avrà anche già fatto tanta strada, ma – come ha dichiarato in un’intervista televisiva – è ancora «semplicemente un ragazzo di Bryne», cittadina di 12.000 abitanti, non lontana dal Mare del Nord e con un’economia prevalentemente agricola. «È vero: l’ho detto», conferma. «Ed è quello che penso quando giocoa calcio. Sono sempre, ancora, lo stesso ragazzino che giocava con gli amici del paese. A ben guardare, alcune delle cose che facevo da più giovane le faccio ancora adesso. È una cosa che penso spesso: sonoun normalissimo ragazzo di Bryne». Salvo che lui è tutt’altro che “normalissimo”.


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Nel corso dell’intervista, Haaland parla spesso della sua voglia di impegnarsi, di migliorare, di sfruttare ogni margine anche piccolo, sul campo e fuori, di fare tutto quello che è necessario per primeggiare. «Ho fatto alcune scelte negli ultimi anni, e penso che mi abbia fatto bene, sul piano personale, uscire dalla mia comfort zone: mi è servito a crescere» dice Haaland.

«Mi piace sfidare me stesso in tutto quello che faccio. È una cosa a cui penso spesso. E penso sia una cosa potenzialmente utile per tutti. La gente, troppe volte, si mantiene nella propria “zona”, mentre secondo me è importante uscirne».

Le scelte di cui parla includono un attento sviluppo della propria carriera, di cui si occupa l’agente Mino Raiola, il quale fra gli altri rappresenta Zlatan Ibrahimovic, uno dei suoi idoli. Tutto è cominciato nel Bryne, squadra della seconda serie norvegese, dove Erling ha debuttato a quindici anni. L’anno successivo ha lasciato la famiglia per trasferirsi più a nord, entrando a far parte del Molde, uno dei club norvegesi più prestigiosi, allora allenato da Ole Gunnar Solskjaer (a proposito, Haaland è già il calciatore norvegese che ha segnato di più in Champions League, superando il record di 19 gol che apparteneva proprio a Solskjaer, ma giocando sessantatré partite in meno di quest’ultimo). «Staccarmi dai genitori, dalla famiglia e dagli amici è stato difficile» ammette. «Ma è stato importantissimo per me, in quella fase». Haaland è sbocciato. In una partita memorabile ha segnato nei primi ventuno minuti i quattro gol con cui il Molde ha battuto (4-0) la capolista Brann, e a quel punto i grandi club hanno cominciato a seguirlo. Lui, però, si è trasferito in Austria al Red Bull Salzburg, con cui ha realizzato almeno una parte del suo sogno, debuttando in Champions League nel settembre 2019 contro i belgi del Genk.


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«Ci si può preparare in tanti modi diversi per essere pronti a dare il massimo. E’ soggettivo. A me piace meditare».

La settimana e il giorno prima della partita non ho pensato ad altro: scendere in campo ed esordire in Champions League con la musica e tutto. È un ricordo che conserverò per tutta la vita» dice Haaland. Ha ascoltato l’inno anche andando in auto all’ultima seduta di allenamento prima della partita. E quella partita rimarrà impressa per sempre anche nella memoria dei tifosi del Salzburg. Haaland ha segnato dopo soli 101 secondi e ha percorso quasi tutto il campo come una furia per festeggiare. Alla fine del primo tempo aveva già collezionato una tripletta – primo teenager capace di un’impresa simile al debutto in Champions League dopo Wayne Rooney, che ci era riuscito nel 2004 – e la partita si è conclusa con una vittoria per 6-2. Quella sera, tutta l’Europa si è accorta del fenomeno biondo che aveva finalmente trovato il suo palcoscenico, e al club austriaco hanno capito che non sarebbero riusciti a trattenerlo a lungo. I telefoni hanno cominciato a squillare. «Dopo il primo gol ero spompato, perché mi sono messo a correre in giro come un matto. Dopo il terzo sono rimasto più tranquillo, anche perché c’era il dubbio di un possibile fuorigioco» spiega Haaland. «Poi, quando il gol è stato convalidato, be’… ho provato una sensazione indescrivibile. Io, ovviamente, sono sempre motivato. Davvero. Per ogni partita. Come dicevo, però, ho da sempre questa fissazione per la Champions League, e ho sempre desiderato giocare in questa competizione, perciò forse l’idea di scendere in campo e di sentire quell’inno mi aiuta a trovare quell’uno per cento di motivazione in più». Quanto è importante, allora, arrivare a vincerla, per lui? «È il mio grande sogno» ammette con un sorriso enorme. «Vincere la Champions League, prima o poi. Spero proprio di riuscire ad alzare al cielo quella coppa: sarebbe fantastico».


Non bisogna scambiare la sicurezza di Haaland per arroganza. Erling nutre, ad esempio, un grande rispetto per la carriera calcistica del padre e nega con fermezza di averlo già superato. «Mio padre ha più presenze di me in nazionale e ha giocato più partite ad alto livello. Dovrò giocare ancora un bel po’ prima di potermi considerare migliore di lui. Ma spero di riuscirci un giorno» dice, elogiando al contempo il genitore per il sostegno che gli ha sempre dato e per «qualche consiglio e trucchetto» del mestiere. «A volte mi racconta aneddoti di quando giocava lui. È bello avere questo patrimonio di esperienza in famiglia» aggiunge Haaland.Inevitabilmente, non è rimasto a Salisburgo a lungo. Nel dicembre del 2019 ha scelto il Borussia Dortmund. A Dortmund infatti, come a Salisburgo, c’è una grande tradizione per quel che riguarda lo sviluppo di giovani giocatori. Giovane ma con tante attenzioni addosso. «È una cosa che ho voluto, e ora me la godo. Allo stesso tempo, è importante saper sgombrare la mente, e questa è una cosa che mi riesce bene.» Una delle soluzioni adottate da Haaland a questo riguardo è la meditazione, al punto che in qualche caso ha persino scelto un modo «zen» di festeggiare sul campo i suoi gol: «Ho cominciato ai tempi in cui giocavo nel Molde, convinto da un amico» spiega. «Penso che in certi momenti sia essenziale rilassare la mente, staccarsi da tutto, anche solo per poter dormire come si deve. Ci si può preparare in tanti modi diversi per essere pronti a dare il massimo. Ogni persona è diversa, e si è liberi di scegliere come raggiungere questo obiettivo. C’è chi si rilassa guardando la TV, e va bene anche così. È soggettivo. A me piace meditare».


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Gli è utile a prepararsi mentalmente e fisicamente. La vita di Haaland è tutta orientata a ottimizzare le prestazioni sul campo, che si tratti dell’allenamento, dell’alimentazione o del sonno: porta occhiali dalle lenti azzurrate per proteggere gli occhi dalla luce degli schermi e spegne il wi-fi alle dieci tutte le sere, quando si corica per farsi le sue nove ore di sonno. La sua determinazione a essere il migliore – «come persona, oltre che come calciatore» – è incredibile. «Cerco di allenarmi al meglio, di farmi sempre trovare pronto, per dare il massimo» spiega Haaland. «Questo è il mio modo di pormi, quello che cerco di fare. Però è anche importante non stressarsi troppo: godersi il calcio e divertirsi. Questa è la cosa più importante, anzi, e io cerco sempre di farlo. «La mia carriera è già stata rapidissima, ma è così che mi piace. Certo, sono ancora giovane e ho ancora tanti traguardi davanti, ma posso assicurare che farò tutto il possibile per raggiungerli.» E con questo arriviamo alla domanda conclusiva: quanto manca all’apice della sua carriera? «Non ho ancora compiuto ventun anni!» dice Haaland, ridendo. «Non credo di dover aggiungere altro».

Photos by Stefano Galuzzi

Styling by Edoardo Caniglia

Grooming: Ezio Diaferia @ Unconventional Artists

Styling assistant: Federica Arcadio

Si ringrazia Fairmont Monte Carlo Hotel (fairmont.com)