

Fred De Palma
E’ considerato “il re del reggaeton italiano” ma la ragione per cui ci incontriamo non ha niente a che fare con la musica danzereccia importata da Porto Rico che lo ha reso famosissimo. C’entra piuttosto il suo ultimo singolo, Adrenalina, che non è reggaeton e nemmeno techno ma un genere nuovo chiamato “army-mind” (per scoprire di che si tratta vi tocca arrivare alla fine di questo pezzo)
Per la prima volta, Fred De Palma (33 anni da Ceva, paesino del cuneese) parla di sé, della sua dipendenza (“sono schiavo dell’adrenalina” canta in un refrain che si inchioda nel cervello già dopo il primo ascolto), delle cose che fa per soddisfarla e di come sta cercando di venirne fuori.
Lo fai con onestà e anche un certo coraggio…
«Di mio sono abbastanza consapevole e allo stesso tempo onesto, con me stesso e con gli altri. Forse questa è la prima volta che parlo di me: se lo faccio è perché voglio esorcizzare qualcosa e allo stesso tempo dare un esempio agli altri».
È una forma di auto-terapia? Un modo per non tenersi dentro i propri mostri?
«Sicuramente. La trovo una cosa giusta perché mi sono reso conto che attorno a me quel tipo di problema stava diventando capillare: conosco persone di ogni genere che hanno vissuto o stanno vivendo quel problema lì. Era una cosa da affrontare, perché nessuno lo fa».
Parli del gioco d’azzardo, della ludopatia.
«Sì».
Quando dici “tutti attorno a me” ti riferisci a un sacco di gente, tipo quelli che poi spariscono alla prima difficoltà?
«In realtà non ho tante persone attorno. Frequento solo quelle di cui mi fido e con le quali ho un legame stretto. Alcuni sono amici di quando avevamo 14 anni».
Ti aiutano a rimanere coi piedi per terra?
«Non ho mai avuto quella roba di “follia da successo”, sono sempre rimasto com’ero: ero pazzo anche prima di avere successo».
Nel singolo dici che esci a petto nudo da una Porsche, entri a petto nudo su una Rolls…
«Racconto tante cose che mi sono successe e che ho vissuto, nel bene e nel male. Non sembra ma è un brano introspettivo: è vero che “sono schiavo dell’adrenalina” è una cosa introspettiva da dire ma io la dico in un modo che sembra più da festa che da pentimento, è volutamente equivocabile. Esagerare ogni cosa fa parte della dipendenza. È per quel motivo che il pezzo è così spinto. Poi però c’è una parte in cui mi rivolgo a me stesso e mi chiedo “quante volte ancora potrò toccare il fondo e trovare la forza per spaccare il mondo?”: è una frase che racchiude un po’ la mia vita e le mie scelte, perché negli ultimi anni mi sono trovato per terra almeno tre o quattro volte».

Quante vite hai avuto finora?
«Parecchie. Infatti faccio molta fatica a ricordarmi le cose, perché quando ne vivi tantissime, tutte molto intense, poi finisci per confonderle finché non si annullano. Per dire, tutti i miei tour li posso racchiudere nella stessa serata».
Ti pesa?
«Devo ammettere che ogni tanto vado in sbatti, perché mi sembra di non aver vissuto quello che ho vissuto».
«Quello è un altro problema: non faccio video. Quando ero a Las Vegas per il compleanno di Anitta, il mio manager (Mattia Zibelli, che è con noi durante l’intervista, ndr) mi fa “Oh ma non hai postato niente!”, eppure avevo vissuto delle situazioni che tanta gente se le sogna. Ma l’idea di stare lì col telefono in faccia… è una cosa che proprio non sopporto, non riesco a farlo, mi infastidisce. I social ce li ho solo perché devo averli: cioè, io faccio musica mica i video».

Come mai hai deciso di parlare per la prima volta dei tuoi problemi?
«Faccio le cose come mi vengono. Non sono uno che fa scelte strategiche, purtroppo: se faccio una cosa è perché sento che è il momento per farla, senza secondi fini. Motivo per cui non ho mai sposato le mille cause che vanno di moda oggi… non giudico, ma io non sono fatto così. Le cose che faccio, le faccio perché sono vere e sento il bisogno di dirle, e anche per essere un esempio».
E in questo caso qual è l’esempio che dai?
«In realtà non è così facile venir fuori da certe cose. Puoi uscirne fisicamente, puoi uscire dall’azione ma comunque quella roba ti rimane dentro: credo che da certe esperienze, come possono essere la droga o il gioco d’azzardo, non se ne esca mai veramente. Se hai una dipendenza è difficile che il tuo cervello non ti riporti là in alcuni momenti: è soprattutto quando sei stressato o qualcosa non va che torna l’impulso. Il modo per uscirne è gestire l’impulso: renderti conto di cosa sei e che determinate scelte avranno delle conseguenze. Questo è il punto fondamentale: quando sei dipendente non ti rendi conto delle conseguenze. Gestire l’impulso, capire le conseguenze e convivere con questa cosa senza mai abbassare la guardia. Per me è così».
Quanto meno hai l’onestà di dire che non c’è una soluzione semplice per venirne fuori…
«Ho parlato con gente che ce l’ha fatta. Ce la puoi fare ma non puoi pensare che quell’impulso non continui a vivere dentro di te: non te lo togli mai, è una lotta. Ci saranno sempre dei periodi nella vita in cui finirai lì con la testa perché ormai quell’effetto è una cosa che il tuo corpo vuole sentire».
«La mia famiglia è incredibile, i miei non mi hanno mai fatto mancare niente e mi hanno sempre supportato».

Da dove arriva questo tuo desiderio incontrollabile di adrenalina?
«Credo dalle influenze che ho avuto da piccolo, quando vedi Bruce Willis che salta da un aeroplano e salva il mondo, oppure, che so, dai cartoni animati: insomma, tutto quello con cui entravo in contatto mi portava sempre alla ricerca di qualcosa che andasse fuori dal quotidiano, che mi facesse sentire parte di qualcosa di incredibile».
Il rischio, però, non è di spingere il limite sempre un po’ più in là?
«Sempre, sempre… È questo il problema di vivere così: è un pozzo senza fondo, non arrivi mai a un punto in cui sei felice. O meglio, io sono felice, non mi reputo una persona triste: grazie ai risultati che ho raggiunto sono riuscito a costruirmi una situazione che mi permette di fare quello che voglio, nel senso che non devo svegliarmi alle 8 per andare a fare un lavoro che non mi piace, e già questa per me è una vittoria. Non sono uno che vuole essere il capo del mondo a tutti i costi, sono felice di quello che ho. Però la felicità è una cosa, un’altra è la ricerca di esperienze forti che mi ha sempre accompagnato nella vita. In questo momento, in cui sto cercando di lottare e combatterla, la parte difficile è cercare di evitare certe situazioni».
Non dev’essere facile stare lontano dalle tentazioni quando sono sempre a portata di mano in uno smatphone…
«Non è facile, per niente: cerco di limitare i danni, se posso. Cerco di passare dei periodi lunghi in cui non faccio niente e dei periodi in cui provo a limitare i danni. So che arriverà il giorno in cui questa cosa non sarà più così importante, lo so, ma per ora è un po’ difficile. Sinceramente, è difficile».
Prima hai accennato ai risultati che hai raggiunto: cos’è per te “il successo”?
«È qualcosa di momentaneo: ogni progetto che faccio è come se partissi da zero. Anche se lavoro nella musica da molti anni, per quante hit possa aver fatto, mentalmente ho sempre bisogno di pensare “devo farcela”: con gli altri puoi anche fare il finto umile ma non con te stesso, e io “sei arrivato” non l’ho mai detto nemmeno a me stesso, anzi, mi ripeto sempre che devo trovare qualcosa di nuovo per farcela».
Sembra la stessa dinamica che poi ti porta alla dipendenza da adrenalina…
«Eh certo. Appena mi va bene qualcosa voglio cambiare, rischiare e fare altro».

Come va con le donne non te lo chiedo nemmeno, lasciamo perdere…
«Lasciamo perdere».
«Sì sì, con quelle sono completamente fuori».
Tra donne, droghe e gioco d’azzardo chi ti ha fatto soffrire di più?
(Ci pensa tanto….) «Ci sto pensando, perché ho questa roba assurda, che non so se sia un bene o un male, per cui se faccio una cazzata, il giorno dopo sono già mentalmente pronto ad affrontarne un’altra: il mio tempo di pentimento dura qualche ora, non giorni o settimane (“È un superpotere!”, scherza il suo manager, ndr). Anche con le ragazze è così: c’è gente che fa qualsiasi cosa e non gliene frega niente, li invidio, io invece non sono così, ho molti sensi di colpa, che per me sono difficili da sopportare, però mi durano il tempo che lo dico. Non lo faccio volontariamente ma per superarli non gli do il peso che dovrei. Quindi, per rispondere alla domanda, credo che a farmi soffrire di più sia il gioco».
Ma tu pensi di aver mai sofferto davvero?
«Penso di aver fatto in modo di soffrire. Penso di essere la causa dei miei mali».
Ma sofferto davvero?
«A tratti sì».
Solo a tratti?
«Sì, nel senso che non è che sono mai stato disperato al punto da non uscire di casa per un mese o cose del genere, quello no, perché comunque reagisco».
E con gli errori che rapporto hai?
«Mi servono da lezione. Ora, per esempio, quando conosco le ragazze lo dico già prima come sono fatto e cosa potrebbe succedere: anche se una ragazza mi interessa al di là del discorso puramente fisico, comunque glielo dico, perché ne ho viste soffrire troppe per poter fare ancora quel gioco in cui me la racconto e dico a me stesso “Ma no, vedrai che questa volta sarà diverso”».
«Ecco, sì: ho quello che Mattia prima ha chiamato “superpotere”, grazie al quale riesco sempre a vedere il lato positivo in tutto quello che mi succede, ma la mia vera paura, ciò che mi fa soffrire di più, è sapere di aver fatto soffrire chi mi sta vicino a causa dei miei sbagli».

Per cosa sei grato alla vita?
«Per il fatto che, nonostante ce l’abbia messa tutta per distruggermi, non sono ancora a pezzi. Sono grato alle persone che mi stanno intorno, perché comprendono come sono fatto e cercano di aiutarmi. Sono grato per il mio lavoro, per la mia famiglia».
L’intervista sarebbe anche finita qui ma l’occhio mi cade sul tatuaggio che De Palma ha sulla mano, così gli chiedo se è la divinità induista Ganesha come sembrerebbe…
«Sì (risponde scuotendo la testa sconfortato, ndr)… ma è un tatuaggio fatto a caso. Anche sulle dita sono tatuate parole a caso, non hanno nessun senso “a-r-m-y” “m-i-n-d”, “esercito” e “mente” boh, non so perché l’ho fatto. Una volta, durante un’intervista, non sapevo cosa rispondere e pur di dire una cazzata me ne sono uscito dicendo “perché io esercito la mente”… Cioè, capito come ne sono venuto fuori? Ora invece non ho più voglia di essere così, non voglio più mentire: la verità è che mi sono fatto fare un tatuaggio a caso, mentre ero fuori come un balcone, alle 5 del mattino, da un tipo che non sapeva neanche tatuare».
«Nemmeno io. Non è reggaeton e nemmeno techno, non saprei proprio».
«Techno-qualcosa?»
Techno-army?
«“Army-mind”! (Ride, ndr) Così almeno potrò giustificare i miei tatuaggi: potrò dire “È un pezzo di genere “army-mind”: vedi? Ce l’ho pure tatuato sulle dita”».
Nella foto di apertura Fred De Plama indosssa un total look Givenchy
Photo by Simon171, styling Ilario Vilnius, styling assistant Cecilia Rossini, grooming Ana Rodriguez