In conversazione con Tahar Rahim

In conversazione con Tahar Rahim

Hollywood e la stampa internazionale si erano accorti di lui quando Il profeta, in cui era attore protagonista, aveva ricevuto la nomination all’Oscar per il miglior film straniero. Attualmente su Netflix nella serie The Serpent, l’attore francese si appresta ad affrontare la sfida del musical

di Andrea Giordano

«Il nuovo re di Hollywood? Per me ci sono stati solo Platini e Zidane». Eppure, da Il Profeta, il film che lo fece conoscere a Cannes nel 2009, alla consacrazione internazionale, il destino sembra aver riservato il meglio a Tahar Rahim, nonostante lui rimanga con i piedi a terra, continuando a mettersi in discussione e scherzandoci su. «Un giorno sono partito con la mia borsa verso Parigi: là prendevo lezioni, dividendomi fra il teatro, i lavori in fabbrica e in un locale notturno, lo facevo perché credevo in qualcosa. Ecco perché, oggi, preferisco sorprendermi e vivere il momento». Origini algerine, nato a Belfort, piccola cittadina francese nella regione della Borgogna-Franca Contea, 40 anni da compiere a luglio, in 13 anni di carriera Rahim si è ormai imposto all’attenzione globale, bypassando stereotipi, quanto barriere linguistiche e geografiche. Tappe cruciali nell’evoluzione di artista: The Eagle, Il passato, Maria Maddalena, in serie tv quali The Looming Tower, The Eddie, collaborando con maestri quali Jean-Jacques Annaud e Asghar Farhadi. Esperienze in grado di fare la differenza. Come in The Mauritanian, diretto da Kevin Macdonald, presentato all’ultima Berlinale, in uscita a giugno su Amazon Prime Video. Una storia vera, dove impersona Mohamedou Ould Slahi, accusato ingiustamente di essere complice degli attacchi dell’11 settembre a New York e per questo rinchiuso nella prigione di Guantanamo, dal 2002 al 2016, diviso tra violenze, soprusi e la speranza di giustizia, un’esperienza terribile, raccolta e descritta nelle memorie Guantamano Diary, scritte nel 2015. 


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«Quando ho letto la sceneggiatura mi sono sentito arrabbiato, triste, alla fine ho pianto, ma è solo quando riesci a incontrare persone come Mohamedou che puoi comprenderne la filosofia, la sua capacità di perdonare, nonostante abbia subito cose orribili. Grazie a lui ho ricevuto una lezione di vita: quella di non lasciare che la paura ci guidi, o prenda il sopravvento su di te, bisogna provare a guardarla in faccia.» Un ruolo per il quale ha ricevuto la nomination ai Golden Globes, confrontandosi accanto al doppio Premio Oscar Jodie Foster. «Recitare è resilienza, pazienza, bisogno, voglia di mettermi in gioco, non mi sono mai fatto abbagliare dalla luce del successo, per questo so che il viaggio è lungo. Sono cresciuto circondato da culture ed etnie diverse, guardando comunque al cinema americano come una delle fonti di ispirazione. Allora non avevamo tanti soldi, entravo dal retro dei video club, spiavo, vedendo passare immagini meravigliose, quelle della New Hollywood, da film come Taxi Driver di Scorsese, a quelli di Coppola, Cassavetes, a interpreti come Pacino, De Niro, John Casale, Gene Hackman, Dustin Hoffman. Erano fantastici, hanno imposto dei codici tutt’ora vivi, ai quali tanti si rifanno oggi, senza dimenticare Fellini, Rossellini, Germania anno zero, a quella loro capacità di scorgere la realtà, a uomini come Robert Meyer, regista, pittore, scomparso pochi mesi fa, più che un mentore, un secondo padre, a cui devo molte cose». Protagonista sorprendente nella serie Netflix The Serpent, nei panni del serial killer Charles Sobhraj, si lancerà nella sfida del musical, in un progetto tutto francese e scandito da una delle sue grandi passioni. «Da bambino nessuno suonava strumenti a casa, io non sono da meno purtroppo, ma amo la musica, è una parte importante in termini di ispirazioni: penso a Marvin Gaye, James Brown, Michael Jackson, i Rolling Stones e Bob Dylan». Classici, ma sempre di moda, come nel suo stile. «Mi piace rivisitare gli anni 50 e 60, in questo senso sono un grande fan di Steve McQueen, Alain Delon, Marlon Brando, ribelli ed eleganti. In fondo, c’è sempre un piccolo tocco speciale a contraddistinguerci: è la nostra identità».


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Photos by Vanmossevelde +n

Styling by Gabriella Norberg

Grooming by Anne Bochon