Laura Pausini

Laura Pausini

Le renne giganti, le parrucche, la zeta, le trasgressioni, l’etica, la famiglia, le camere d’albergo, il Sudamerica, Raffa, Sophia, Britney, Luis, il babbo, gli Oscar… Ritratto intimo di una superstar globale: «Facevo le stesse cose dei Måneskin, solo che ai miei tempi non c’erano i social e quindi non lo sapevate»

di Digital Team

L’ultima grande popstar italiana riceve a casa sua, in un non-luogo romano che potrebbe essere Los Angeles o Rio De Janeiro, in lontananza i grattacieli e il mare. Al piano terra, è dicembre, albero di Natale e una renna gigantesca con corna dorate: Hollywood. E poi la famiglia italiana: il compagno Paolo, la figlia Paola che torna da scuola. Laura Pausini, anima latina-romagnola, gloria nazionale un po’ Evita, appare in cima a uno scalone. Si prepara il suo film per Amazon Prime Video, e poi un disco, e poi di nuovo live. Il lockdown è stato quasi uno scalo tecnico per questa ragazza che vive praticamente in aereo da quando è maggiorenne. «E insomma Roma l’ho cominciata a vivere col Covid», dice. «Mi piace non fare tutti i giorni la valigia, non svegliarmi in una camera d’albergo diversa tutti le mattine». Esce? «No, mai. Qualche volta al centro commerciale», e lì chiudi gli occhi e sei a Dubai. O a Miami. Altra città dove ha vissuto. «Lì ci sono dei mall pazzeschi» (e ne elenca un paio). «Adoro i mall». In Florida «facevo la coach, quella sì che è vita». Come si fa a non amarla? Uniche altre incursioni nella capitale d’Italia: «alla Coin, con una parrucca bionda, e occhiali da sole, ma poi vengo sempre sgamata quando ringrazio, sulla zeta» (la celebre zeta pausiniana).


Chemisier in faille stampato
e pantaloni in lana
stretch e seta tutto
Valentino

In tour da una vita, ubiqua, globale ma con la z da ragazza. Un Grammy (prima italiana nella storia), quattro Latin Grammy, un Golden Globe (prima cantante italiana nella storia), una nomination all’Oscar, colonna sonora del film La vita davanti a sé con Sophia Loren, «e però continuano a considerarmi una che vende solo in Sudamerica», sospira. Poi si tira su e scherza ancora. Ha abitato ovunque e in nessun posto. All’inizio a Milano, «perché non so se lo sai ma il primo paese in cui è scoppiata La solitudine è stata l’Olanda, e da Bologna non c’erano voli in orari decenti per Amsterdam». E poi in giro. «Vai, stai quattro giorni mettiamo in Francia, e fai 30 interviste, due show televisivi, dieci radio, non vedi niente, ceni in camera o coi discografici. Dopo anni non conosco nessun posto e nessuno, e incontro sempre gli stessi giornalisti e non so niente di loro: allora sono io che gli faccio le domande». Vita da star temprata dal buonsenso romagnolo. «Se son da sola chiedo sempre la camera d’hotel più piccola, perché sennò mi viene l’ansia. E il capo mondiale della Warner un giorno mi disse che ero l’unica cantante che nella storia della casa discografica non aveva mai usato un minibar d’albergo».


Gilet lungo in lana stretch e seta e camicia in seta Valentino

 
Modelli di ruolo: la Loren, e la Carrà, mancata da poco. Nord e Sudamerica. Perché poi c’è tutta la questione della celebrità latina, croce e delizia dello stardom italico. A volte è pericoloso conoscere i propri idoli. «Ah, ma lo so benissimo, quando ho incontrato Whitney Houston, vicina di camerino, mi sono appostata davanti alla porta per guardarla, e basta. Non volevo sapere nient’altro». Invece con Sophia e Raffa meglio del previsto. La Carrà, «secondo me non è stata riconosciuta in pieno in Italia», e Laura sembra parlare un po’ di sé, anche lei inchiodata al suo cliché spagnolesco, ma il successo in Sudamerica è una droga, «quell’affetto lì non te lo dà nessuno, i giornalisti ti parlano come se fossero tuoi fans, e anche io se dovessi scegliere, perché non puoi andare dappertutto, sceglierei il Sudamerica».


Camicia in cotone, pantaloni in lana stretch e seta e cravatta. Tutto Valentino. Décolleté con plateau Tan-Go in vernice Valentino Garavani

E poi Sophia: Sophia che va a letto alle otto di sera per tutta la vita, Sophia che consacra l’intera vita al lavoro. È questo il modello? «Lei per me è un vero modello. Mi piace essere seria, concentrata, dedicata, disciplinata come credo sia lei, ma a letto alle otto quello no, il contrario: io vado a letto alle nove per far dormire mia figlia, leggendole una fiaba, ma mi addormento prima io, e lei va a protestare dal papà. Poi mi risveglio e rimango in piedi fino alle quattro per lavorare, scrivo molto di notte e ultimamente canto. E mi prendo il tempo per rispondere a tutte le mail e alle chat di lavoro o per guardare delle serie tv e così mi alzo tardi». Tardi quanto? «Ora alle dieci, in passato anche mezzogiorno», e pare l’unica trasgressione della Pausini. «Per me lo è, perché quando ero piccola sognavo di potermi alzare tardi e dormire fino a tardissimo: la mattina non sono connessa mentre la notte ha un fascino silenzioso, che mi aiuta a desiderare il rumore della vita il giorno dopo».


Cappa in light drap con ricamo di perline e micro materiali Valentino

Ma chi le avrà mai insegnato tanta saggezza? Forse il papà anzi il babbo? Il babbo che la protegge, il babbo che le fa fare le figure – «con i supermanager della casa discografica, io avevo 21 anni e lui improvvisava battute nel suo inglese maccheronico». Niente a che vedere con quei papà tremendi delle star ragazzine, tipo Britney. «O tipo Luis Miguel!», salta su lei. «Ancora peggio, hai visto la serie?», e qui la Pausini tira fuori la micidiale serie sul cantante ragazzino, idolo in Messico, su Netflix. Illuminante, c’è anche un attore messicano che fa Pippo Baudo nel celebre Sanremo del 1985. E c’è un’attrice che interpreta proprio la Pausini. Tre stagioni. «Ma lui, Luis Miguel, è il Frank Sinatra latino. Sai come fa la promozione dei dischi? Arriva con l’aereo privato, conferenza stampa sulla pista, fa “ihhhhh” (è il loro saluto messicano), poi si gira e torna sull’aereo, mentre i suoi distribuiscono le cartelle stampa ai giornalisti. Poi ha i migliori musicisti, e li paga per lavorare solo con lui, tutto l’anno. In esclusiva assoluta. Anche se magari in un anno non fanno niente».

Ma lui è famoso anche in Nordamerica? «Scherzi? Ha fatto otto date di fila allo Staples Center a Los Angeles. Guarda che il Messico è pazzesco, lavorano di brutto». E in Italia? «A volte mi sono interessata ad alcuni ragazzi che erano già famosi qui, mi sono messa a disposizione per dare una mano con l’estero, tutti venivano a dirmi “aiutami, facciamo una canzone insieme”. Poi non si presentavano o si presentavano con ore di ritardo. Io in questo sono rigida. Ma come, hai questa opportunità e non ne approfitti?».
Laura lost in translation. «Il fatto è che i cantanti come me quando vanno fuori dall’Italia non sono percepiti né come competitor degli inglesi, perché non cantiamo in inglese, né come locali.


Cappa in denim, T-shirt in cotone e pantaloni in lana. Tutto Valentino

Praticamente è come se qui in Italia arrivasse una cantante turca e fa un gran successo con un pezzo, ma la volta dopo rimane misteriosa ed esotica. Anche in Italia: se dici la Pausini, ti dicono “eh ma quella vende in Sudamerica”. Ma in realtà io in Europa vendo il doppio che in Sudamerica. Riempio più il Madison Square Garden degli stadi dell’Uruguay. Ma niente, ormai qui son quella sudamericana». E in Brasile? «Io adoro il portoghese, è la mia lingua preferita, ma i singoli che ho fatto in portoghese non hanno funzionato. Lì mi vogliono sentire cantare in italiano». Ma non va fuori di testa, tra Sud e Nordamerica, e italiano e inglese e portoghese? «No, io no. Però capisco che non è per tutti. Conosco alcuni italiani che un po’ hanno mollato. Forse perché non avevano la famiglia dietro». La famiglia: lei viaggia con i consanguinei o con lo staff, che è un’altra famiglia. A Solarolo, nel paese in provincia di Ravenna che le diede i natali, dove babbo Pausini ascoltava e suonava il jazz per sfuggire alla stregoneria del liscio, genio e condanna di Romagna, la casa dove abitava con i suoi è diventata un museo, «un ossario», scherza lei, «come se fossi morta già!».

E i Måneskin? Che ne pensa? «Penso che bene, cavolo, finalmente qualcun altro. Certo, ogni cosa che fanno rimbalza subito in Italia, e son contenta per loro. Io facevo le stesse cose, solo che ai miei tempi non c’erano i social e quindi non lo sapevate». Ma perché hanno fatto il botto? «Perché hanno un’immagine fortissima e hanno beccato un momento storico musicale in cui nel pop-rock c’è un buco. Sono bravi, mostrano a tutta la nuova generazione che se sai scrivere onestamente e sai suonare uno strumento, cosa che ormai fanno davvero in pochi, il pubblico ti riconosce. Spero continuino a cantare anche in italiano, è importante che la nostra lingua si diffonda anche attraverso la musica; l’italiano si parla poco nel mondo, ma è ancora il suono più bello che c’è. E c’è anche tanta voglia di rock».


Cappotto ricamato in panno con dettagli floreali cutout Valentino

C’era anche voglia di Oscar, ma incappa nell’anno covidico: «ci viene a prendere la classica limousine nera con i vetri oscurati, e ci incolonniamo tra limo tutte uguali dove un omino ti fa abbassare il finestrino e ti fa il tampone, a turno». È l’Oscar delle spettinate: «non potevi avere né truccatori né parrucchieri. In mezzo alla strada, io m’ero portata una trousse da Roma e mi son truccata da sola, e accanto c’era Glenn Close che anche lei si pettinava da sola. I fotografi sai quanti erano? Sei! È stato un red carpet un po’ sotto tono ma non potrò mai dimenticare di essere stata agli Oscar, è stata una vera avventura, mai sognata prima». E in futuro, che farà? Un reality, come tanti, o nascosta, come Mina? «Nascosta, oggi, con i social, mi sembra difficile!». Per ora, insomma, Laura rimane qui, dove si può sognare d’essere ovunque. Un po’ Svizzera e un po’ Sudamerica: e non ti chiedono nemmeno il passaporto.

Nella foto di apertura Laura Pausini indossa un abito in lana Valentino

Photos by Giampaolo Sgura, Styling by Edoardo Caniglia

Make up: Luca Cianciolo @ Blend Management using MAC. Hair: Andrew Guida @Blend Management using Davines. Personal stylists: Andrea Mennella e Giulia Astolfi. Styling assistant: Federica Arcadio. Management: @gentemusic. Ufficio stampa: @goigest