Nicola Bartolini

Nicola Bartolini

Una medaglia d’oro ai mondiali di ginnastica artistica e per sfondo un corpo ricoperto di tatuaggi. Nicola Bartolini ci racconta come tutto è cominciato (davanti alla tv), i traguardi, le delusioni e le ripartenze. Ritratto di un atleta atipico, che affronta con realismo i sacrifici per arrivare al podio più alto. E rivela: «Chi guarda da fuori pensa che sia tutto semplice e bellissimo. Noi, dentro, vorremmo urlare di dolore»

di Giorgia Mecca

I ginnasti sembrano sempre leggeri, sospesi nell’aria, armoniosi, con la bocca pronta al sorriso verso il pubblico; si muovono con sicurezza, fanno sembrare tutto semplice, naturale. Nicola Bartolini ha il corpo pieno di tatuaggi, un teschio messicano, un demone, una civetta, la scritta “be stronger”, consiglio molto utile in questi anni, il disegno di Saw – L’enigmista. L’ultimo tratto di inchiostro è un “uno”, ricordo della medaglia d’oro conquistata ai Mondiali di Kitakyushu, Giappone, lo scorso ottobre. «Anche se vinco non rido mai», dice di sé. Per i suoi troppi tatuaggi, negli anni, lo hanno escluso dalle forze di polizia ma lui, invece di smettere, ha continuato a colorarsi la pelle: «Non vogliono un campione del mondo per un motivo del genere? Speriamo che prima o poi escano dal paleolitico».


A 25 anni, Nicola Bartolini è un ginnasta atipico: più che dei traguardi e delle acrobazie, gli interessa parlare dei sacrifici, ciò che sta prima e dietro agli inchini al giudice. «Ho cominciato a sognare di diventare un ginnasta a quattro anni, dopo le Olimpiadi di Sidney 2000. Ero molto piccolo, ma sarei rimasto ore a guardare il russo Alexei Nemov, volevo diventare come lui. Lo dissi a mia madre, che il giorno dopo mi portò dal suo amico Giampaolo Murtas, il mio primo maestro. È cominciata così». Ci vuole coraggio per diventare ginnasta in un Paese di calciatori. «In realtà, ci vuole più coraggio quando si è grandi. Questo è uno sport che si sceglie per passione, per il desiderio di un momento di gloria, non di certo per i soldi, che sono sempre stati pochi». È per la gloria che si trascorrono sei ore al giorno in palestra, che ci si dimentica delle feste, dei brindisi e delle vacanze, è per la gloria che ci si morde le labbra e si continua a saltare dopo un infortunio, che si convive con i traumi, gli acciacchi perenni, le cartilagini esauste, l’invecchiamento precoce dei muscoli. «Usiamo tutto il nostro corpo, persino le dita dei piedi, per fare l’acrobazia più elementare. Chi guarda da fuori pensa che sia tutto semplice e bellissimo, ed è giusto che sia così. Noi, dentro, vorremmo urlare di dolore». Anni di preparazione per un minuto di coreografia in cui non sono concesse imperfezioni: a volte ne vale la pena, a volte no.


Bartolini ha vinto la sua prima medaglia importante ai Campionati italiani assoluti di ginnastica, a Torino nel 2015, un bronzo nel corpo libero. «Ci sono stati momenti in cui mi sono perso. Vivo da anni lontano da casa, non sempre sono stato consapevole di ciò che potevo diventare». Gli infortuni non lo hanno aiutato: «Ho subito due interventi alla stessa spalla, ho avuto paura che la mia carriera potesse finire prima di cominciare davvero. Invece sono ancora qui, l’obiettivo adesso è Parigi 2024».


La carriera dell’atleta sardo è stata piena di stop e ripartenze, uscite di scena in lacrime, zoppicante, riabilitazioni, un tatuaggio con la scritta “unlucky”, sfortunato. Dal reality show Vite parallele alla paura che quel famoso momento di gloria per cui ci si spacca le ossa non arrivasse mai. La paura è finita a ottobre, quando è diventato il primo italiano a vincere la medaglia d’oro nel corpo libero ai Mondiali, 24 anni dopo Jury Chechi, che a Losanna 1997 conquistò il podio negli anelli. Come sempre accade, prima della gioia c’è stata la frustrazione. «Ero pronto per i Giochi di Tokyo; dieci giorni prima della partenza mi hanno detto che non c’era più posto per me. L’ho presa malissimo, le Olimpiadi sono il sogno di tutti. Mi sono detto “basta così”. Sono tornato in Sardegna, per dieci giorni non ho fatto niente di niente. Poi, però sono tornato». A Tokyo 2020 si è sostituita Parigi 2024: due anni e mezzo di preparazione e di sofferenza per tagliare l’ultimo traguardo, quello definitivo. «Nel 2024 avrò 28 anni, noi ginnasti a quell’età siamo anziani, è il momento di pensare al ritiro».


 
Bartolini vive e si allena a Milano con Paolo Pedrotti, ma casa, famiglia e fidanzata sono rimaste in Sardegna e lui lì vuole tornare. «È giusto pensare a cosa c’è dopo la ginnastica». Gli sportivi sono costretti a essere monomaniaci, non vedono, non possono vedere cosa c’è oltre il campo o la palestra. Sono egoisti per necessità, vivono, mangiano, respirano, dormono in funzione di un unico obiettivo. L’idea del ritiro può essere spaventosa, perché li costringe a considerare che esiste un mondo fuori a cui non sono allenati, che bisogna ricominciare da zero. «Fa paura pensare a come sarà la mia vita “dopo”, ma in realtà sono anche curioso e stimolato. Ho dei progetti che, per fortuna, vanno oltre la ginnastica».


 Nicola Bartolini non si pente di niente, (perché dovrebbe pentirsi un campione del mondo?): «Questo quadriennio l’ho chiuso da dio, adesso lavoriamo per il prossimo», dice, e se qualcuno gli domanda se consiglierebbe a suo figlio di fare il ginnasta lui risponde di sì, «a suo rischio e pericolo, soprattutto se diventa bravo. Sono più i sacrifici delle ricompense, ma le ricompense quando arrivano sono immense e danno senso a tutto il resto».


«Ero pronto per i Giochi di Tokyo; dieci giorni prima della partenza mi hanno detto che non c’era più posto per me. L’ho presa malissimo, le Olimpiadi sono il sogno di tutti. Mi sono detto “basta così”. Poi, però sono tornato. L’obiettivo adesso è Parigi 2024».

Nicola Bartolini veste Dsquared2, 

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