

Foto: Ilario Vilnius
Alla ricerca della Ricerca del tempo perduto
Il capolavoro di Proust è il canto dell’essere in cui gli eventi macroscopici, come la vita, la morte, la guerra, la storia, sono visti attraverso il microscopio del tempo
Le povere cose che fanno il nostro mondo. Oggetti, segni, luoghi, materiali e immateriali. Bagliori. La superficie che sfiora l’abisso. Il tempo, che si muove e ritorna, lascia traccia. Scrive il nostro destino. Il tempo che si perde, nel senso di perdere del tempo (Deleuze), non solo quello perduto. Si deposita negli anfratti dell’esistere, dà luce. Le pieghe del mondo entro cui si trovano le immagini della verità. Dialoghi formali, i riti mondani, il lembo di un vestito, le gocce d’acqua su una foglia, i tetti, le finestre, il mare, l’infinito. Il sesso, la gelosia, l’amore, l’amicizia (e la sua miseria).
La Recherche è un catalogo ragionato dello scibile umano per frammenti di immagini. Gli eventi macroscopici, come la vita, la morte, la guerra, la storia, sono visti attraverso il microscopio del tempo. È il canto dell’essere. I luoghi sono filtrati dalla lente della memoria e sono anche un’invenzione. Così le persone, il narratore stesso. Le azioni sono ridotte al minimo, e risultano ininfluenti. Mentre la Storia passa accanto e travolge le cose, le modifica, come la marea sulle rocce.
L’occhio di Proust osserva, cerca di decifrare la materia del mondo. Guarda dentro l’abisso. Percorre sentieri non segnalati nelle mappe della Storia. Sta ai margini degli eventi epocali, ma li registra con precisione. Il passaggio al nuovo secolo è un cambiamento assoluto, di cui la Prima guerra mondiale è solo una conferma. A una società basata sui riti della rappresentazione si sostituisce un sistema planetario che azzera le differenze sociali per assoggettarle a un riposizionamento economico. Il mondo si specchia nel suo contrario, si ribalta come Narciso nella sua immagine riflessa. Il paesaggio geografico è spazzato via dalle distruzioni, prima, e dalle ricostruzioni poi. I trasporti nuovi (aerei e automobili) cancellano le distanze, e i luoghi diventano intervalli neutri tra una meta e l’altra. Anche la moda si adegua.
In Proust tutto ciò appare tra le righe del testo, ma costituisce il tessuto prezioso di cui è fatta la trama delle sue visioni. Questa collezione di immagini è riportata in un piccolo diario di bordo. È un quaderno di appunti, corredato di fotografie e di disegni, su ciò che si vede nella Recherche. Tutto quello che nelle sue pagine si manifesta agli occhi di chi legge, lasciando nell’ombra il magma denso dei pensieri. Una sequenza di attimi che costituiscono la superficie del testo. È una ritrascrizione, spogliata della sua sonorità melodica, ridotta all’osso. Sicuramente un tradimento, una riduzione in frammenti, di quell’architettura immane. E anche la prima traccia di un film che vorrebbe mostrare queste immagini, lasciando tra le pieghe della loro dissolvenza l’impronta di un universo, sognato e vissuto, che ha nella sua trama immensa la fragilità della nostra vita.
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Architetto, filosofo e giornalista, Roberto Peregalli, 52, è autore di Proust. Frammenti di immagini (Bompiani, 2013)