Una paperella di gomma, una doccia, il vento. Nei suoi bauli ci può entrare di tutto, perché l’atelier alle porte di Parigi soddisfa qualsiasi richiesta. Il cliente ci mette il proprio sogno, Vuitton il proprio segno. Visita alla maison.

Il fotografo Jean Larivière è stato un cacciatore di vento: andava a catturarlo in giro per il mondo, poi lo sigillava con la ceralacca per evitare che se ne volasse via. E per conservare con la massima cura questa irrequieta collezione, ha chiesto alla Louis Vuitton di costruirgli un baule ad hoc.
Un cliente giapponese ne ha voluto uno con dentro una doccia portatile, un lord inglese ha ordinato una valigetta per la sua paperella di plastica con cappello da pompiere. Insomma, per una volta i vip hanno trovato qualcuno più eccentrico di loro: Sofia Coppola si è accontentata di un contenitore per il suo stereo, Sharon Stone di un beauty battuto all’asta per beneficenza, Karl Lagerfeld di un baule per i suoi 40 iPod e di una versione in scala ridotta capace di ospitarne sei.

Di storie così, che sanno di viaggi, di piccoli capricci e viscerali passioni, se ne ascoltano a decine ad Asnières-sur-Seine, tranquillo borgo alle porte di Parigi adorato dagli impressionisti ed eletto nel 1859 da Louis Vuitton come sede per il suo atelier. È qui che ancora oggi si realizzano gli «special orders», quegli ordini speciali che rendono tangibili le idee dei singoli clienti. Loro entrano in una qualsiasi boutique del mondo con un progetto in testa, la maison si occupa di applicare i principi estetici del brand e, dopo una serie di disegni e prototipi, di infonderli in un oggetto che non solo è iconico, ma anche unico, diverso da qualsiasi altro. E realizzato con estrema cura e altrettanta sapienza.

L’ultimo chiodo – «Esaudiamo un sogno, un desiderio di esclusività che, in quanto tale, non troverebbe soddisfazione alcuna sul mercato», sintetizza bene Patrick Louis Vuitton, responsabile di questi ordini speciali e quinta generazione di una famiglia che non smette di scrivere la storia del lusso e della moda.

Mai visto un posto in cui la fantasia altrui è presa tanto sul serio. «Per noi non esistono richieste strane, ma solo un compito: dare forma a quello che il cliente ha immaginato», chiarisce Marie, una delle addette al reparto in cui lavora un gruppo selezionatissimo di artigiani. Certo, non tutto è possibile, c’è una regola ferrea che fa da discrimine e pilastro: una volta pronto, l’oggetto deve essere in grado di viaggiare. «Mi rifiuto di progettare arredi. Non produciamo nulla che non possa essere trasportato», spiega Patrick Louis Vuitton, che contatta personalmente chiunque abbia inoltrato un ordine non realizzabile e ragiona con lui di possibili alternative. D’altronde coinvolgere i clienti è prassi, al punto che alcuni arrivano di persona fin qui per battere quell’ultimo chiodo che completa la loro creatura.  

Ad Asnières non si realizzano soltanto gli ordini speciali, ma anche bauli e valigie presenti in catalogo, borse in pellame esotico, alcune borse di sfilata e la cosiddetta “Haute Maroquinerie”. Torna di nuovo il gusto della personalizzazione: in negozi selezionati, in Italia nella boutique milanese di via Montenapoleone e nella Maison Etoile di Roma, si può comporre a piacere la propria borsa scegliendo tra cinque diverse forme, sei tipi di pelli più due esotiche e 26 colori. L’attesa non è breve, ma questo non scoraggia chi ama distinguersi. Un atteggiamento che è abitudine dietro questo cancello in fondo a Rue Louis Vuitton, omaggio dovuto a un cittadino così illustre: l’aria che si respira è quella di un altrove senza eguali, di un incastro perfetto tra casa e bottega. In mezzo a un giardino di un verde vivo e acceso, da una parte c’è l’atelier e, a una manciata di passi, ecco la casa del fondatore costruita nel 1878.

Con ogni mezzo – Mattoni a vista, gli interni arredati in un delizioso stile art nouveau, travolge i visitatori con il tepore del focolare domestico di un tempo antico ben tramandato. Pranzarci o prendere un caffè è un privilegio per pochi, riservato a ospiti illustri e clienti vip, così come la visita al museo del viaggio del piano superiore. Qui sono conservati bauli e valigie storiche, che raccontano l’evoluzione dei costumi in parallelo all’affermazione dei diversi mezzi di trasporto: navi, treni, aerei e automobili. Qui si tocca con mano quell’estetica pratica che la Louis Vuitton ha scelto come bandiera, per sposare il bello con l’utile, per adattare ogni forma a una funzione.

Classico e moderno convivono invece in un collaudato equilibrio nell’edificio industriale che sorge lì accanto, con il parquet che fa da pavimento e le enormi vetrate che bagnano di luce gli ambienti. Viene voglia di attardarsi, di indugiare più a lungo del dovuto. Come ha fatto Alain, 65 anni, qui dal 1978. «Potevo andare in pensione a sessanta, ma ho preferito rimanere», racconta mentre lavora a una Steamer Bag: lanciata per la prima volta nel 1901, serviva per raccogliere la biancheria sporca durante le traversate oceaniche e oggi rivive come elegante borsa da viaggio e da weekend. «Per me non ci sono passaggi difficili», continua Alain, «ormai qualsiasi cosa mi viene naturale, è tutta esperienza». La stessa che si ritrova identica nei vari reparti: come nella falegnameria al piano di sotto, dove pezzi di legno di pioppo, di faggio e okumé vengono tagliati per formare il solido scheletro dei bagagli rigidi. E dove incontriamo Jean-François, 42 anni, che ha studiato l’italiano da autodidatta perché è innamorato del nostro Paese. «Sento», dice, «che il mio è un mestiere d’artista ed è una grande fortuna avere la possibilità di farlo in un posto unico come questo».
Unico come solo può esserlo uno scrigno di saperi, di tecniche e gesti. Il controllo certosino delle pelli, i tagli precisi al millimetro, i colpi di martello assestati a dovere, le cerniere di tessuto messe al posto di quelle di metallo come accorgimento per non rovinare il baule; una speciale colla ad acqua che si attacca e si stacca finché la tela esterna non è posizionata alla perfezione, il lucchetto antifurto personalizzabile che, dal 1890, permette ai clienti di aprire tutte le proprie valigie con un’unica chiave. Dettagli preziosi, che più di ogni ordine o richiesta di personalizzazione stravagante, sanno rendere speciale un oggetto firmato Louis Vuitton.

Testo: Marco Morello
Foto: Stefano Dal Pozzolo