Dove nascono le lampade più ricercate del mondo e la luce è un alfabeto morbido e flessibile, che accende emozioni

Varcare la soglia della scenografica casa milanese di Ernesto Gismondi è già un bel curiosare nel luminoso dietro le quinte dell’universo di Artemide. È qui che il fondatore e presidente dello storico gruppo, tra un’opera di Mimmo Paladino e un’altra di Alighiero Boetti, tra un disegno di sua figlia dei tempi dell’asilo e pile abbondanti di libri di ogni taglia, tono e misura, collauda le nuove lampade prima di portarle al debutto sul mercato: «Ci devi vivere insieme per capire cosa combinano. Come funzionano. Se fanno la luce giusta», spiega Gismondi, ingegnere, designer, Cavaliere del lavoro abbonato a premi e riconoscimenti vari (il Compasso d’oro alla carriera, per sceglierne uno, o la Giraglia, vinta quest’estate a bordo della sua Edimetra), dimostrando di preferire all’estetica dei giri di parole, un pieno d’immediato pragmatismo. Lo stesso che gli fa dire: «O cresci, o muori. Il mondo non si è fermato all’epoca del paralume. Grosse realtà sono saltate perché si sono dimenticate di leggere il calendario».

LUNAPARK PER SCIENZIATI – Ecco perché la sua azienda, nonostante il tesoretto di prodotti iconici che restano best seller da dieci lustri, ringrazia il passato ma preferisce cerchiare di rosso gli anni futuri. Uno in particolare, il 2015, quando sarà pronto un campus da 3.500 metri quadrati in cui ingegneri e ottici batteranno strade inesplorate: «Non saranno soli. Avranno un team di fisici al loro fianco per studiare tutte le sfaccettature e le potenzialità della luce. Sì, ho detto fisici: mi rendo conto che stiamo degenerando», scherza. La nuova struttura sorgerà a Pregnana Milanese, proprio accanto allo stabilimento principale che della sperimentazione ha già fatto un’abitudine. Icon ha avuto accesso a un’area dove entrare sarebbe vietato, dove la concorrenza porterebbe volentieri via qualche souvenir a scelta tra un modello preliminare in polistirolo e un paio di studi al millimetro sulle forme: l’officina prototipi, la sala giochi in cui osare è concesso, anzi vitale. Legno, vetro, ferro, plastiche e cavi sono gli ingredienti per cucire ogni progetto: i test meccanici, termici ed elettronici, il corollario obbligatorio per valutare la tenuta, la fattibilità di un’idea. Che parte da un bozzetto, ma non si risolve nell’estetica: «Il design è una bandiera, una necessità. È un’impronta perché un oggetto d’arredo è come un abito per una donna: non lo indossa soltanto perché ha freddo. Le deve piacere. Però oggi al tavolo si è seduto un ospite che non era invitato: il Led. Un commensale ambizioso che ha ampliato la cassetta degli attrezzi: consente di fare con la luce cose che prima erano impossibili. Sconvolgendo le regole».

Artemide ha deciso di trasformare questa scossa tellurica in un’opportunità, nell’unica maniera sensata: aggiornandosi. Mettendosi a produrre in casa circuiti e chip senza acquistarli all’esterno, gestendo il ciclo di produzione per intero. Che inizia in una vasta officina dove dominano un’imponente macchina tedesca per il taglio al laser di ferro e alluminio e un’altra per il cesello ad acqua di pietra, vetro, plastica e di tutti quei materiali allergici al calore. La nostra guida è l’esperto Giordano, qui da 19 anni: ci scorta tra le aree dove i pezzi vengono rifiniti, piegati, saldati; nella zona della verniciatura, liquida o a polvere, in un forno a 200 gradi; in quella della lucidatura e dell’assemblaggio, dove molte postazioni sono recintate e gli addetti indossano guanti e camici per evitare che l’energia presente nel loro corpo si scarichi sui componenti elettronici, danneggiandoli. Ecco il senso delle parole di Gismondi, la prova pratica di un know-how capace di mescolare creatività, tecnologia e un pizzico di vera e propria scienza.

IL LUME DI COPERNICO – E però c’è dell’altro ancora: «La luce è un materiale con una dote incredibile. Se interagisce con noi nel modo giusto, riesce a farci stare bene, a influire sull’umore. Il Led, così duttile, aiuta: permette di ribaltare l’approccio progettuale, di partire non più da una forma ma dalla sorgente stessa per guidare ed enfatizzare queste emozioni», spiega la designer Carlotta de Bevilacqua. Tra le mani stringe Copernico, una delle sue creazioni recenti. Nove ellissi concentriche ricavate da un’unica lastra di alluminio, tutte mobili: «Merito di uno snodo che è un brevetto d’invenzione meccanico ed elettrico. Toccando la lampada si decide da che parte dirigere la luce: se deve essere frontale, laterale; se deve puntare verso l’alto o verso il basso. Si crea un rapporto tattile, multisensoriale. È come imparare uno strumento. Come suonare una musica». È la vera frontiera in Artemide, che sta spingendo ottica e tecnologia nella stessa direzione: fare in modo che la luce vada oltre la visione rigida di un designer per trasformarsi in un alfabeto morbido, in un linguaggio flessibile, malleabile, tutto da personalizzare.