

Labubu-mania: come dei pupazzetti “brutti” sono diventati oggetti del desiderio
Un case study su un fenomeno virale che sfida ogni logica estetica. Com’è che tutti sono ossessionati dai Labubu?
Sono brutti. Eppure, oggi, i Labubu sono ovunque. Hanno i denti aguzzi di chi sa di non dover piacere a tutti. Un sorriso inquieto, da cartoon passato sotto acido. Orecchie da coniglio, sguardo da cult leader. Nessuna logica estetica può giustificare il loro successo, eppure eccoli lì: appesi con nonchalance alle mini Kelly da 30mila euro. Fotografati in front-row alle sfilate couture. Venduti all’asta a cifre che nemmeno un mobile Gio Ponti. Non sono belli, e non devono esserlo: Labubu è l’anti-design diventato feticcio. Il brutto che fa il giro lungo e arriva dritto al cuore del cool. Ma come è successo?
Un mostriciattolo per domarli tutti: l’origine dei Labubu
Tutto comincia a Hong Kong, dalla matita dell’artista Kasing Lung, che immagina una creatura grottesca e tenera allo stesso tempo: un piccolo mostro, parte della serie The Monsters, con gli occhi spiritati e l’aria da folletto ubriaco. Il colosso cinese Pop Mart ne intuisce il potenziale, lo trasforma in una miniatura da collezione e lo lancia sul mercato globale, dentro le celebri blind box, scatole a sorpresa che trasformano l’acquisto in una roulette emotiva. E poi, l’evento scatenante… Da lì, tutto cambia.

In principio fu Lisa delle Blackpink, o almeno così narra la leggenda social. Un giorno agganciò uno di questi pupazzi a forma di folletto deformato alla sua borsa. Nessuno lo conosceva, tutti lo volevano. Da lì, l’epidemia: Chiara Ferragni, idol K-pop, stylist newyorkesi, collezionisti con il cuore spezzato e PayPal aperto. Un esercito trasversale, senza età né genere, attratto da un oggetto che somiglia più a un errore di laboratorio che a un peluche. Ma è proprio questo il punto: nel mondo post-estetico e post-cool, Labubu è il no-sense perfetto. Un mostriciattolo venduto in scatole chiuse, che nessuno controlla ma tutti desiderano. Come il primo amore o un drop Supreme: lo vuoi, ma non sai perché. Lo brami, e ti basta.
Ogni drop Pop Mart (il vero stratega) genera code infinite, server in tilt, battaglie da resale. E più è difficile da ottenere, più cresce il suo appeal. È l’incrocio perfetto tra kawaii e caos da collezionismo compulsivo. Con un retrogusto post-pandemico: piccole gioie, surreali, da stringere in mano mentre tutto il resto va a rotoli. Il gigante cinese dei collectible toys, lo ha trasformato in una macchina da desiderio. Niente negozi patinati: solo blind box, emozione da slot machine e senso di esclusività. È il lusso secondo l’algoritmo: imprevedibile, condivisibile, perfetto per finire nei “GRWM” con un twist tenero e disturbante.

Moda, arte e hype: il coniglio demoniaco conquista tutto
E poi, il salto di specie: Labubu si stacca dal portachiavi, entra nelle gallerie, sbuca nei cataloghi d’asta. Pharrell Williams lo porta su Joopiter, dove tredici esemplari firmati Sacai x Carhartt WIP vengono battuti con base d’asta a 300 dollari, raggiungendo i 3.000 nel giro di ore. Non basta? C’è anche una versione segreta ispirata a un pezzo cult di Pharrell stesso, perché in fondo anche i pupazzi hanno un archivio. L’incasso? Tutto devoluto all’Unesco, mentre i Seventeen – la boyband con più membri che vocal coach – fanno da ambasciatori. Niente male per un pupazzo di 15 centimetri.

A Ginevra, all’Art Basel, Labubu diventa opera d’arte. Una versione alta più di un metro viene venduta per 150.000 euro. Una mini-edizione limitata blu Art Basel va sold-out in 30 minuti. E no, non stiamo parlando di un artista concettuale o di un nuovo ready-made da Biennale: parliamo sempre di lui, il pupazzetto con la faccia da “non sono io, sei tu”. Niente, ecco allora sancito il suo status ufficiale di oggetto da collezione e opera d’arte in miniatura. Vien da chiedersi: è arte pop, è linguaggio, è statuto sociale? Chissà, ma forse, è anche un ironico dito medio all’ideale di bellezza levigata che ha dominato il mondo del lusso fino a ieri.

Alla fine riesco a vedere quasi del romanticismo dietro questa ascesa; come la rivalsa del personaggio “sfigato” in uno di quei film tutti uguali degli anni ’90/2000. Labubu non fa finta di essere bello. Non è minimal, non è elegante, non è neanche ironico nel senso classico. Ma alla fine, purtroppo, non c’è nessuna morale dietro, non si tratta d’altro che puro istinto, puro algoritmo emotivo. Puro marketing. Ti guarda con quei denti sporgenti e dice: “Comperami”. E tu lo fai. Però in un presente saturo di filtri e forme perfette, c’è anche qualcosa di liberatorio nell’abbracciare l’imperfetto, purché abbia il moschettone giusto e l’etichetta col QR code.
Wang Ning, il visionario da 22 miliardi
A orchestrare tutto, c’è Wang Ning. Classe 1987, ex studente di ingegneria, oggi è il re del giocattolo da collezione, l’uomo che ha trasformato Pop Mart (di cui è founder e CEO) in un impero da 1,6 miliardi di euro l’anno. Il più giovane miliardario cinese, con un patrimonio personale che ha superato i 22 miliardi grazie a pupazzi alti 10 centimetri. Ha capitalizzato la nostalgia, la cultura pop, la psicologia dell’acquisto compulsivo e l’ha impacchettata in una scatola misteriosa da 20 euro. O da mille, se ci finisce dentro il coniglio giusto.

Nel 2024, la serie The Monsters – Labubu in testa ovviamente – ha registrato una crescita del +726%. Più di 530 store, migliaia di vending machine, espansione globale. Dimenticate Barbie e Hot Wheels: oggi il giocattolo più ambito al mondo ha il sorriso di un demonietto giapponese e la consistenza di un peluche tossico. La sua intuizione? Prendere l’universo del collectible toys, ibridarlo con il marketing della moda, e trasformarlo in esperienze fisiche (store, vending machine) e digitali (drop, scarcity, gamification). Il tutto con un look irresistibilmente bizzarro. Oggi Pop Mart è più influente di Mattel in alcune fasce demografiche, ha centinaia di negozi nel mondo e punta dritto al mercato occidentale.

Certo, non tutto è rosa. Il modello delle blind box è finito sotto osservazione in Cina e UK per il suo legame potenziale con la ludopatia, e l’inflazione dei prezzi nel mercato resale ha scatenato più di una polemica. Ma niente sembra poter fermare Labubu e i suoi fratelli mostri. Nemmeno l’estetica, anzi: forse proprio grazie alla sua “bruttezza” è diventato il pupazzo più desiderato del pianeta. È una cartina tornasole: di quanto siamo disposti a desiderare l’inusuale, di quanto l’hype possa sovrastare il senso.