L’insostenibile sostenibilità nella moda: utopia o realtà?
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L’insostenibile sostenibilità nella moda: utopia o realtà?

di Giulio Solfrizzi

Bottega Veneta punta sul ripristino delle borse e il settore inventa nuovi tessuti ecosostenibili. Ma la moda può veramente essere sostenibile?

C’era una volta una società spendacciona, incosciente e interessata all’hic et nunc, ovvero il qui ed ora. Le conseguenze delle proprie azioni non erano minimamente tenute in considerazione, come se un futuro non ci sarebbe mai stato e bisognasse quindi esaurire tutto (e subito). Dal riscaldamento globale alla siccità, fino alle plastiche nel mare e alle morie di intere speci, a detta di alcuni inspiegabili, i risultati si sono visti e non hanno destato alcun scalpore che andasse oltre il commento tragico o disimpegnato sui social. Specchio di un’inerzia sociale innanzitutto rivolta verso sé stessi. 

Tra le molteplici cause della condizione attuale, bisogna inserire anche il sistema moda. Perché è vero che si prediligevano tessuti come la lana, il cashmere e il cotone, notoriamente migliori rispetto ad acrilico e nylon, ma bisogna contestualizzare la produzione di quei vestiti oggi ereditati da nonni e genitori in un mondo meno accorto e regolamentato. Privo di alcune linee guida, perlomeno in Italia, sui requisiti eco-tossicologici per gli articoli che vogliono contribuire a dare concreta attuazione all’obiettivo di tracciare una via consapevole e sostenibile, e favorire l’adozione di modelli di gestione coerenti col Manifesto della sostenibilità per la moda italiana, come si legge sul sito di Camera Nazionale della Moda Italiana. 

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La stilista Vivienne Westwood alla London Fashion Week nel 2013

La moda può essere sostenibile?

Vadevecum e restrizioni a parte, utili per migliorare un settore in costante crescita e far riflettere chi ne è a capo, aleggia una verità sottesa nel fashion system: l’insostenibilità della sostenibilità. Mi spiego meglio, quest’ultima è raggiungibile ma pur sempre con le dovute distanze. Perché ad alcuni sfugge la dinamicità della moda, spinta a dover presentare e produrre ogni sei mesi grandi quantità di vestiti. Che qualcuno inevitabilmente acquista, influenzato profondamente quanto inconsciamente dai ritmi a cui ormai uffici stile, sarti e stilisti sono abituati. O forse costretti dalle aspettative di chi frequenta i vertici. 

La soluzione non è semplicemente cessare di produrre, piuttosto bisognerebbe modificare le richieste di buyer, addetti ai mestieri e acquirenti. Ma come si può fare tutto ciò oggi, mentre scalpitiamo per notizie, rivelazioni e contenuti esclusivi saltellando tra Instagram, Facebook, TikTok e Twitter? Per non parlare delle decine di tendenze differenti che coesistono, generate ed alimentate dalla struttura malsana dei social network, e della famelicità di momenti “iconici” da commentare per qualche ora con amici e sconosciuti. Talvolta scrivendoci articoli di giornale o post riflessivi. 

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Dettaglio della sfilata autunno – inverno 2023 di Bottega Veneta

Le soluzioni della moda agli sprechi 

Ciò non implica che la sostenibilità sia del tutto irraggiungibile, perché qualche escamotage funzionale ad attutire i danni del mondo della moda esiste, ed è attuato. Bottega Veneta, ad esempio, produrrà solo su commissione alcuni pregiati capi d’abbigliamento della collezione autunno – inverno 2023 visti sfilare in passerella, limitando gli sprechi e favorendo l’unicità ora bramata dai consumatori più attenti. E le iniziative a favore dell’artigianato da parte del brand italiano continuano, anzi sono iniziate ad ottobre del 2022 con il Certificate of Craft, programma che valorizza la qualità duratura delle lavorazioni distintive. Come una garanzia di vita, la carta fisica che si associa al numero di serie del singolo prodotto offre un numero illimitato di interventi di ripristino e riparazione sulle borse iconiche. Favorendo l’uso da parte di più generazioni dei propri prodotti, come ogni brand del lusso dovrebbe fare per assicurare il sogno venduto insieme all’oggetto.

Uno spirito, quello di Bottega Veneta e del CEO Leo Rongone, accomunabile alla dedizione di chi si alza la mattina presto per cercare l’offerta più conveniente tra mercatini dell’usato e boutique affollate da vestiti vintage. Atto apparentemente superficiale, ma realmente utile poiché sfavorisce la produzione e l’acquisto di nuovi, a tratti inutili, capi d’abbigliamento. Riconducibili all’etimologia della parola “lusso”, proveniente dal latino luxus che indica sovrabbondanza ed eccesso. Perciò qualcosa di non necessario, che vada al di là di ciò che sia sufficiente o adeguato alle normali occorrenze della vita. E un po’ tutto, dall’ennesima T-shirt della grande griffa al terzo, quarto o quinto jeans di Zara, è in eccesso, specialmente se nell’armadio ce ne sono altre decine. 

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Un ospite con completo di lino alla 94esima edizione di Pitti Immagine Uomo

I nuovi tessuti ecosostenibili 

Ma i prezzi di Bottega e le ore piccole dovute alla ricerca del vintage e second hand non sono per tutti, e in un batter d’occhio gli amanti sia della moda sia della Terra optano per materiali meno dannosi. Ricordandosi costantemente l’esclusività dell’abbigliamento sostenibile, accessibile solo a chi abbia disponibilità economiche o di tempo da dedicargli. Oppure di entrambi. Così materiali tipo il lyocell, fibra tessile che viene estratta dalla cellulosa della pianta di eucalipto, il lino, green e biodegradabile, e la pelle, priva di risvolti etici seppur dotata di una certa logica di economia circolare, se “metal free”, prendono la meglio e risultano essere la via di fuga prediletta dai più sensibili, e tirati parlando di spese. Opzioni, queste, ugualmente elitarie perché la fascia di prezzo è ben lontana da quella delle catene fast fashion, dunque improponibile per molti.

Queste non saranno supernove capaci di annullare gli errori compiuti da generazioni di uomini, inclusa la nostra, perché non ne esistono di soluzioni totalizzanti, perlomeno ad oggi. È possibile, però, avere fiducia nei coloranti naturali, nei denti di seppia – altrimenti scartati – alla base di un tessuto simile alla seta o nei materiali derivanti dalle foglie di loto. E ancora, riflettere prima di acquistare, sostenere i marchi giusti, ripescare dagli armadi dei propri parenti e abbattere il pregiudizio nei confronti dell’usato, che è talmente démodé da far ribrezzo. In questo modo, forse, qualche passo lo riusciremo a recuperare, e alleggeriremo la terra della nostra massiccia ed insostenibile presenza.