Abel Ferrara, tra poesia e trasgressione
Courtesy Photo by Vittorio Zunino Celotto/Getty Images

Abel Ferrara, tra poesia e trasgressione

Uno dei registi più riconosciuti e anticonvenzionali del cinema, Abel Ferrara, si confessa, in questa intervista con Icon

Anticonformista, radicale, un regista, sceneggiatore (pure attore e ottimo chitarrista) capace di oltrepassare spesso il limite nei suoi racconti, ma rendendoli oltremodo alti, sintesi perfette, scomode, di un modo unico di vedere il mondo e le sue sfaccettature. Abel Ferrara è così, prendere o lasciare, non gli importa adattarsi, omologarsi al sistema, semmai è lui ad aver dettato le regole del gioco, quel grande puzzle cinematografico, in cui abitare le immagini cinematografiche da lui create, diventa un’esperienza multiforme, cruda, dannatamente viscerale, per provare a capire l’essenza dei suoi personaggi controversi: Cattivi Tenenti, Fratelli, boss della droga, angeli della vendetta, prede delle multinazionali, divisi tra peccato e conversione, tra consolazione e dispersione. E così figure come Pasolini, indagando visivamente la sua più profonda e rivoluzionaria ispirazione. Poetica “maledetta”, anarchica, in grado però di cambiarlo, al punto di ritrovare ulteriormente nella poesia, e nel poeta, critico, Gabriele Tinti (https://www.iconmagazine.it/cult/gabriele-tinti-intervista/), una nuova sfida affascinante, recentemente vista in esclusiva alla Pinacoteca di Brera, a Milano. Un reading – performance intenso, a due voci, ripreso di fronte al quadro di Bramante, Cristo alla colonna, alternandosi nella lettura delle stesse poesie di Tinti, prossimamente in pubblicazione il 21 marzo, Giornata Mondiale della Poesia (https://pinacotecabrera.org/media/abel-ferrara-legge-bleedings-di-gabriele-tinti/ )diventato qui l’occasione, artistica e personale, per fare un bilancio, privato e professionale.

Il rapporto con la religione, l’aspetto sacro, la redenzione, sono elementi ricorrenti del suo cinema. Per lei cosa rappresentano davvero?

Cresciuto ed educato come cattolico, ad un certo punto mi sono allontanato dalla chiesa, perdendomi per strada, e così è successo riguardo la figura di Cristo. Eppure queste cose le ho trovate nel tempo affascinanti, profonde, tanto da portarle anche nei miei film, tramite personaggi combattuti, dubbiosi, bisognosi di dimostrare forse un pentimento, o che avessero la necessità di ritrovarsi, prima o dopo, anche in una dimensione spirituale. Diciotto anni fa, personalmente, ho deciso di convertirmi al buddismo, e successivamente smettere di bere e drogarmi, tutto intorno, poi, è cambiato, migliorato, anzi quella spiritualità che pensavo aver perso, è tornata sotto altre forme, sia Buddha ora, o Maometto. Ed ora è finalmente reale e presente.

C’è qualcosa di molto poetico anche nella sua vita, non crede?

Ogni momento, ogni giorno, quando mi metto dietro la macchina da presa, e sto per cominciare a girare, so che sto incontrando l’arte. Non è bello in fondo provare ad unire lavoro e vita? Non puoi però semplicemente combinare le cose, perché non c’è modo di pilotare le proprie volontà o i propri desideri. Succede e basta.

Se ripensa alle sue prime ispirazioni, cosa le viene in mente?

Ma sa vengo da una famiglia appartenente alla classe operaia italoamericana, dalla campagna, nessuno in casa faceva artista. Negli anni mi sono avvicinato alla letteratura, Jack London in primis, alla pittura, spesso è diventato un linguaggio a cui attingere nel contestualizzare alcune storie. Ma se devo ricordare la scena – chiave, quella sconvolgente, capace di cambiare tutto, e farmi capitolare, allora la devo collegare sempre a un film, Bambi della Disney (sorride, ndr).

Si parla spesso di esempi. Pasolini per lei è stato uno di questi, al punto di dedicargli una pellicola.

Pasolini continua a essere un maestro assoluto, come scrittore, libertario, per il suo messaggio politico, tutto di, e su, di lui, sintetizza il meglio a cui dovremmo aspirare. In quanto regista lo cerco, lo sento vicino, è nella mia mente, ma sento oltremodo quanto la società abbia bisogno di ritrovare una figura del genere. Temo che l’attesa sarà lunga.

Tra i suoi attori feticcio (sei pellicole insieme, ndr) c’è Willem Dafoe: è più complice o alter ego?

La parola chiave è famiglia, un rapporto d’intesa, evolutosi progetto dopo progetto. È un attore che porta sempre il suo contributo, da cui traggo nutrimento, scambio di energie, osmosi. Tra noi c’è quasi un patto teatrale, ma in realtà io sono il suo alter ego.

Nel frattempo sta per iniziare un nuovo progetto, Zeros and Ones, protagonista Ethan Hawke. Di cosa parla?

È un film di guerra, una guerra fittizia, in cui un soldato americano, di base in Vaticano, combatte da eroe, nel presente nel futuro, una minaccia per il mondo intero, e mette a dura prova la sua difesa. Sarà girato a Roma.

Lei ha deciso di vivere in Italia (a Roma appunto, ndr) da tempo, cosa ha trovato in più rispetto agli Stati Uniti?

Da italoamericano, e uomo del sud, direi le origini, perché i miei genitori sono nati tra Napoli e Salerno, così la cultura ed una grande libertà creativa. Roma, Piazza Vittorio dove vivo, rappresenta la stanza dove poter finalmente dare me stesso e sentirmi bene, nonostante una parte di cuore sia rimasta anche a New York. In Italia sono arrivato nel 2000, ho incontrato successivamente una ragazza, abbiamo avuto un figlio, e ogni cosa, privata, professionale, ha iniziato ad avere ulteriore senso. Come se si chiudesse un cerchio. Probabilmente stavo solo cercando di trovare un posto dove avrei potuto fare le mie cose, e in questo senso, l’Italia è riuscito a darmi le risposte più importanti.

La pandemia e la difficoltà di ripartire, cosa si aspetta?

Durante l’ultimo anno ho lavorato, senza farmi influenzare dalla paranoia di ammalarmi, ma chiaramente intorno è avvenuto un disastro dalle ripercussioni finanziarie devastanti per il turismo, per il cinema, per tutti. C’è dolore nell’aria, si avvertono le ferite, voglio sperare. Il futuro? Sarà dura, cento anni fa è accaduto la stessa situazione con la Spagnola, e purtroppo, vedo, non è cambiato molto da allora.

Esattamente un anno fa alla Berlinale, presentando Siberia, narrava di simbolismi,  viaggi interiori, di qualcosa che avrebbe poi stravolto tutto. Fu quasi profetico nel suo messaggio.

Nel film “dico” che la fine è vicina, ma intendendo che ciascuno è responsabile delle proprie azioni. Per questo adesso dobbiamo concentrarci sul nostro modo di agire e su quello che facciamo.

Il 2021, in ogni caso, coincide con un compleanno speciale, i suoi 70 anni: come ci arriverà?

Felice di esserci. Sai, mi sento grato per quello che ho avuto, è strano a dir la verità, ho passato gran parte della mia esistenza cercando di uccidermi e ora sto cercando di restare vivo. È dura, non solo per il virus di questi mesi, c’è un’altra malattia da tenere d’occhio, l’età. Per questo voglio godermi ogni singolo minuto.

Alla fine dunque si è riconciliato con i suoi demoni?

È la mia unica priorità: far pace col mio passato, con le esperienze, pensando alle potenzialità rispetto a quello che sono, e che potrei ancora essere.