David Bowie, l’artista del 2013

David Bowie, l’artista del 2013

di Gianni Poglio

La rinascita nel silenzio dopo 10 anni di oblio. Con un album, The next day, che è già diventato leggenda. 

Dieci anni di silenzio. Ostinato, duro, senza eccezioni. Un problema di cuore, di arterie ingolfate, dicevano i bene informati. Era vero. Ma non del tutto. Bowie non era fuori dal circo mediatico e discografico solo per questioni coronariche. Lui, uomo da effetti speciali e colpi di genio fulminanti, sapeva che la sparizione era l’unica anticamera possibile per una rinascita degna del suo nome.

Lo sapeva il Duca Bianco di avere un solo colpo ancora in canna. A 66 anni non si possono fare dischi inutili, e nemmeno solo un po’ carini. Nel terzo tempo di una carriera c’è spazio solo per i capolavori. Che non nascono dal caso e nemmeno dall’improvvisazione. Così, nel mezzo della decade d’oblio Bowie ha riunito i suoi musicisti preferiti in un mini studio di New York. Li ha vincolati al riserbo più assoluto e li ha messi al lavoro per mesi su una manciata di canzoni che da anni gli ronzavano in testa. Brani non omogenei tra loro, confluiti poi in quello che a tutti gli effetti è di gran lunga il miglior disco del 2013: The next day.

L’album meno annunciato della storia della musica. Un post improvviso su Facebook il 9 gennaio, proprio nel giorno del compleanno numero 66, l’ultima e la più sottile delle mosse teatrali: ‘Vi comunico tramite il social più invadente che c’è di essere riuscito a mantenere il segreto sull’uscita del mio nuovo disco. Nessuna anticipazione, nessun gossip nella rete, eravate ignari di tutto, quindi, ho vinto io’.

Per rinascere, Bowie ha immesso nelle nuove canzoni il meglio della sua ispirazione berlinese. Ha ripescato gli stimoli e le visioni di quel triennio a due passi dal Muro a metà anni Settanta e li ha riversati in un disco che non si può approcciare con le banali categorie del bello e del brutto. Perché The next day è un album che va oltre. Come se fosse figlio di un tempo in cui la musica era sorpresa, stupore, libertà. Le sequenze armoniche non sono scontate, le parole non sono vacue. Ingredienti che nella musica contemporanea sono come mosche bianche. 

Di fronte a questo oggetto misterioso il mercato ha reagito mandando segnali da un’altra era: The next day, come un corpo estraneo al contesto, è entrato in classifica e ci è rimasto rivitalizzando la categoria quasi estinta dei long seller. The next day non è il disco di un anziano che gioca a fare il giovane e nemmeno il canto del cigno di uomo che non si rassegna al declino. The next day è arte. Per questo non ha età, ma solo bellezza.