Una conversazione con il giovane attore di Birmingham, fotografato per noi da David Bailey. Dal numero 59 di ICON.

Harry Kirton è diventato famoso con il ruolo di Finn, il più giovane dei fratelli Shelby in Peaky Blinders, la serie in costume ambientata nell’Inghilterra tra le due guerre che racconta l’ascesa di una famiglia di gangster di Birmingham dalle scommesse di corse di cavalli fino al parlamento a Londra.

Ma l’ultra-violenza pop alla Scorsese di Peaky Blinders non potrebbe essere più lontana dalla realtà di questo ventunenne con i capelli rossi e la pelle chiara, che sulla bio del suo profilo Instagram scrive “energy, frequency, vibration”: «Stavo leggendo un libro sull’inventore Nikola Tesla e ho trovato questa frase che mi ha colpito. Credo che tutto sia una forma di energia e che questo ci renda tutti uguali sotto il cielo», dice Kirton. «Sul mio profilo scrivo anche che sono vegano perché è un modo di vivere molto vicino al mio cuore».

Nato e cresciuto a Birmingham da una famiglia di origini inglesi, irlandesi e polacche («Nella serie mi usano come riferimento per gli accenti», ha scherzato in un’intervista), da un paio d’anni si è trasferito a Londra: «Sabato 14 marzo sono tornato a Birmingham a casa dei miei. Negli ultimi tempi ho lavorato tanto e ho dormito poco, mi sentivo stanco e fuori forma. Ma l’ho fatto soprattutto perché penso che stare a casa in questo momento sia il modo migliore di affrontare l’epidemia. In ogni caso le riprese della sesta stagione di Peaky Blinders sono state rimandate alla fine dell’anno, quindi starò a casa a scrivere poesie e canzoni rap. Ho sempre avuto una vivida immaginazione, crescendo ho trovato vari modi per incanalarla e la recitazione è solo uno di questi».

La partecipazione di Kirton alla serie è arrivata per caso: «Era il 2013, avevo 15 anni. I miei genitori, che guardavano la prima stagione di Peaky Blinders, hanno visto in tv l’annuncio di un casting aperto», racconta l’attore. «Si teneva un sabato mattina molto presto, mio padre ha chiesto se avevo voglia di andare e ho risposto di sì. Abbiamo fatto cinque ore di fila per il primo giro di audizioni. Sono piaciuto, così si sono segnati il mio nome. Poco tempo dopo mi hanno chiesto di mandare un video e poi mi hanno chiamato per altri provini. Così mi sono trovato in una stanza con il casting director e con il regista della seconda stagione, Calum McCarthy. Ero emozionato, nervoso e curioso. Dopo, McCarthy mi ha raccontato di essere rimasto colpito dal mio linguaggio del corpo: ero l’unico a stare seduto dritto. Credo che questo abbia fatto la differenza».

Una delle caratteristiche della banda dei Peaky Blinders è il taglio di capelli, rasato ai lati e con il ciuffo (che ha lanciato una moda trasversale, che va dai coatti di periferia ai tifosi in curva allo stadio agli addetti ai lavori nel mondo della moda): «Per me ogni volta è brutale tornare a quel taglio di capelli», dice Kirton ridendo. «Ma è uno dei tratti distintivi della gang e mi aiuta a entrare nel personaggio. In un certo senso l’ho sempre visto come una medaglia all’onore, e credo che a quei tempi fosse davvero cosi. Con la differenza che fuori dal set mi sono trovato molto più spesso a indossare cappelli».

D’altra parte lo aveva raccontato anche Cillian Murphy, l’attore irlandese che nella serie interpreta il protagonista Thomas: «È solo quando hai quel taglio che la gente inizia a fermarti per strada. Quando non ce l’ho posso prendere l’autobus senza che nessuno mi riconosca». Murphy per Kirton è diventato sul serio una specie di fratello maggiore: «Cillian mi è sempre stato vicino, tra le altre cose mi ha aiutato a capire che la recitazione è un lavoro collettivo», dice. «Recitare mi aiuta a sfogarmi e a esprimermi. Sul set ti trovi a dire e fare cose che non potresti mai fare nella vita reale. È un processo interessante di auto-conoscenza». Ma c’è anche una parte difficile in questo lavoro? «I primi tempi mi metteva in crisi trovarmi da solo in albergo in posti isolati durante le riprese», dice Kirton. «Inoltre recitare può essere molto impegnativo dal punto di vista fisico e mentale, è per questo che è importante prendersi sempre cura di sé».

In che modo? «Da quando sono diventato vegano, quattro anni fa, sono entrato più in sintonia con me stesso e il mondo che mi circonda. Provo empatia per ogni forma di vita sul pianeta. Se possiamo prosperare con uno stile di vita vegano, perché continuare a uccidere gli animali? Modificare il proprio stile di vita è uno dei grandi passi che chiunque può fare per salvare il pianeta. Oggi possiamo scegliere di abbandonare le vecchie abitudini e smettere di imporci sulle bellezze del mondo naturale. Più ci prendiamo cura di noi stessi e più ci teniamo a prenderci cura di ciò che ci circonda. Credo che una volta usciti da questa crisi del virus questo modo di pensare sarà più importante che mai, soprattutto per le generazioni che verranno».