La svolta di Tom Holland
Courtesy of by Kevin Winter/Getty Images

La svolta di Tom Holland

di Andrea Giordano

Intervista a Tom Holland, attore inglese, divenuto ormai un personaggio globale grazie al “suo” Spider-Man cinematografico, ma che ora affronta una nuova sfida. L’occasione arriva grazie a “Cherry”, in onda su Apple Tv +, nel quale, per un momento, si toglie la maschera e regala qualcosa di straordinario.

Lo studente universitario, il soldato, l’eroe decorato (tornato dalla Guerra in Iraq), diventato però inquieto, paranoico, al punto di cadere nel vortice della tossicodipendenza, trasformandosi altresì in rapinatore di banche. Un capitolo (di vita) dietro l’altro scandisce la parabola di Cherry, in onda su Apple Tv + dal 12 marzo, la nuova sfida dei fratelli Russo, Anthony e Joe, che qui segna l’ulteriore consacrazione di Tom Holland, 24 anni (ne farà 25 a giugno), il ‘wonder boy’ del cinema (oramai approdato nel tempio di Hollywood) in un ruolo-gioiello, fisico (ha perso 13 chili), più che mai oscuro e affascinante.

Una storia fulminante, complessa, tratta dal romanzo semi-autobiografico di Nico Volker, una riflessione sociale, nell’America e generazione post 11 settembre, in cui, come detto, interpreta un personaggio reale, combattuto, e diviso com’è, tra l’amore (per Emily, la bravissima Ciara Bravo) e la caduta personale. Il clic cruciale insomma, in grado di fare la differenza nella carriera di un attore. Alla regia di nuovo i Russo (quarta collaborazione insieme), mattatori nell’infrangere ogni incasso al botteghino attraverso l’epica visiva degli Avengers, come nell’ultimo Endgame, ma che adesso, momentaneamente, lo svestono dai panni del suo Peter Parker-Spider-Man e lo proiettano a toccare altre corde. Capace fin dagli esordi (a 16 anni) in The Impossible, accanto a Naomi Watts e Ewan McGregor, di imporre il proprio carisma recitativo, Holland è di fatto oggi il simbolo di un rinnovato movimento, attento, calibrato, nel tracciare, e farsi tracciare, in una crescita graduale, mai forzata, scevra dal desiderio di successo a tutti i costi. Nel suo caso basterebbe recuperare altri lavori, da Locke, Heart of the Sea – Le origini di Moby Dick (diretto da Ron Howard) a Civiltà perduta, fino all’approdo nell’universo Marvel (e conseguente visibilità globale), da Captain America: Civil War, Spider-Man: Homecoming, Avengers: Infinity War, Avengers: Endgame, Spider-Man: Far from Home. In attesa di vederlo nel prossimo Spider-Man: No Way Home, con Cherry (si chiamano così quelli al fronte non ancora entrati in combattimento), arriva per lui il momento di ritrovare se stesso, in altre forme, come artista e uomo.

Alzare l’asticella e provare a infrangere le barriere: era arrivato anche per lei il momento giusto?

La pressione talvolta riesce a spingerti in zone dove non pensavi neanche di arrivare. Fisicamente e mentalmente, la parte più estenuante è stato quando mi sono dovuto calare nei panni di un tossicodipendente, giorni letteralmente “folli”, ma qui c’è stata molta ricerca, ho incontrato veterani che soffrono di disturbi post traumatici, sapevo dunque di avere una responsabilità sulle spalle nel portare in scena certe dinamiche. Volevo, però, assicurarmi, di rendere giustizia a quegli uomini, donne, che tornano dal fronte e affrontano situazioni come queste.

Il film narra, e si rivolge anche alla Generazione Z, persa, combattuta, che poi alla fine però prova a ricostruirsi.

Non si parla necessariamente di speranza, ma anche di lotta, traumi, di luce, perché c’è, alla fine di ogni tunnel, e di recupero. Spero che le persone che soffrono di dipendenza e disturbi in tal senso da stress post-traumatico, possano ritrovare il coraggio di farsi sentire e cercare aiuto, soprattutto i giovani. Chiedere aiuto è qualcosa di cui le persone sembrano vergognarsi, invece non è affatto ridicolo, dimostra semmai il contrario, una grande forza, sicurezza, nel decidere, su se stessi, quale cambiamento attuale, o in che direzione andare.

La lotta dei veterani di guerra, il loro rientro nella società, è fra i temi sempre molto tangibili negli Stati Uniti. Cosa pensa di aver imparato da questa esperienza?

Oltre ad incontrare alcuni reduci, volevo soprattutto ascoltare le loro storie, racconti di gente, eroi, capaci di servire il proprio paese, che poi hanno avuto purtroppo enormi difficoltà nel provare a reinserirsi all’interno del sistema. C’è stata apertura, ed io, dall’altro lato, sentivo l’urgenza di renderli orgogliosi, rappresentandoli in maniera positiva, piuttosto che negativa: l’opinione pubblica li osserva e si chiede, perché non smettono di drogarsi? Non vedono che si stanno lentamente uccidendo? Non è una semplice “malattia” per cui bisogna trovare il vaccino, intorno hanno semmai bisogno di ritrovare maggior supporto ed empatia.

Esplorare la parte oscura di un personaggio a cosa porta?

Impari a realizzare che queste emozioni esistono anche dentro di te, permettendo che vengano fuori. Da attore ero nervoso, eppure ho scoperto quanto in effetti, come capacità, posso realmente dare. Alla fine la sensazione è stata di enorme orgoglio, in ciò che mi riserva il futuro.

Proviamo a definire questo ruolo nella sua carriera?

Un punto di svolta, un trampolino di lancio in avanti. Volevo dimostrare soprattutto a me stesso che oltre ad essere, e amare, un personaggio come Spider-Man, potevo prendermi il tempo giusto per sperimentare altro. In fondo ognuno di noi dovrebbe concedersi delle alternative, nuove sfide, la bellezza della vita, della recitazione in questo senso, sta proprio nella sua imprevedibilità, non sapere a cosa si va incontro. Non programmare sempre tutto in fondo può risultare sorprendente.

La colonna sonora è uno degli elementi cardine nella pellicola, scandisce il ritmo, ogni frammento. È così anche per lei?

Mentre mi preparo sul set c’è sempre una musica ad accompagnarmi, non riesco comunque a selezionare, anche perché ascolto davvero ogni tipo di genere. Dipende dall’umore, ma se devo sbilanciarmi, credo di avere un debole per gli anni ‘40 e Frank Sinatra.

Quanto conta l’intuizione nel sapersi immedesimare?

Non ho avuto la possibilità di parlare con Nico Walker, so che lui oggi è pulito, fuori di prigione, spero possa vedere la pellicola, che ci sia possibilità di parlargli. Nella sua storia ho potuto però rintracciare degli elementi universali, provando poi a farmi trainare, si parla di crescita, cambiamento radicale, caduta, rinascita, coraggio.

Lei stesso lo ha fatto dando una svolta alla propria immagine.

Ci saranno persone, specialmente alcuni miei fan, che rimarranno scioccati da questa pellicola, da come si è entrati in alcuni territori disturbanti, della dipendenza, ma mi auguro possano vedere la performance per quella che è, e andare oltre certi schemi. Il fatto di essere stato così realistico, mia madre stessa un giorno mi ha chiamato, rassicurandosi che stessi bene (ride, ndr), lo devo però ai Russo, a quel senso di leggerezza e profondità che hanno saputo trasmettere, al fatto di aver creato un posto sicuro, incoraggiandomi, facendomi commettere pure degli errori. Negli Avengers ero un piccolissimo ingranaggio in una macchina molto più grande, qui ero io il motore e loro al volante.