A quasi tre anni dallo scioglimento del gruppo, il leader Michael Stipe parla di rock, arte, sessualità, ritorni a casa. E della sua nuova avventura: sulle orme di Brancusi

L’Alma Schlosshotel di Berlino è una palazzina costruita nel 1911 che costituisce un pezzo di storia della capitale tedesca. Qui ha celebrato il suo matrimonio Romy Schneider e ha alloggiato la nazionale tedesca di calcio durante i mondiali del 2006. Mentre da un’auto nera scende Juliette Binoche, il portiere sta cercando di convincere l’agente di Kristen Stewart che nella capitale tedesca l’acqua è potabile. È a questo punto che compare un signore né alto né basso, né bello né brutto. Arriva da solo. Indossa dei jeans, una giacca sportiva grigia e uno zaino. Si presenta: «Piacere, Michael».

L’autore di Losing my religion, Michael Stipe, appunto, si perde a guardare il soffitto e dice qualcosa circa il decennio degli anni Quaranta del secolo scorso, quando, a quanto pare, si iniziarono a dipingere le stanze in questo modo. «Karl Lagerfeld ha progettato parte di questo hotel», lo informiamo. Silenzio. Molto. Nel 2002, nove anni prima che i R.E.M., dopo tre decenni insieme e 85 milioni di dischi venduti, si sciogliessero con un comunicato, una rivista statunitense pubblicò un lunghissimo reportage con Michel Stipe protagonista. Era l’epoca di Reveal, il miglior album della serie di dischi buoni e meno buoni lanciati nel periodo trascorso tra il capolavoro Automatic for the people (1992) e l’album d’addio del gruppo, Collapse into now (2011). Il ritratto fu quello di una star eccentrica, capricciosa, volubile e ossessionata dall’idea di piacere a tutti.
Una volta terminato il servizio fotografico, seduti nel giardino sul retro dell’hotel, glielo ricordiamo. «Ma tu hai creduto a quel reportage?», chiede quest’uomo di 54 anni che dedica il suo  tempo alla scultura e ad accettare solo le offerte che costituiscono una sfida per lui, o perlomeno una novità, come la nostra intervista (dallo scioglimento dei R.E.M. non ha praticamente più parlato con la stampa). «Quell’articolo è stato un orribile scherzo commesso da un orribile scrittore. Volevano raccontare come le star siano manipolate e accudite fino al limite da altre persone. Io non sono così. Be’, hanno deciso di prendermi in giro».

Fino a che punto le ha dato fastidio?
A nessuno piace essere insultato. Però, per capire a fondo il mestiere della pop star, devi accettare il fatto che non piacerai a tutti. Molti pensano che io sia un tipo strano e un idiota. In realtà, sei semplicemente uno specchio, è parte del tuo ruolo, e molte persone si guardano in quello specchio e non si piacciono. E ti incolpano per quello.

A volte è stato un fardello troppo pesante?  
Ci sono milioni di persone che non hanno mai sopportato il suono della mia voce, che hanno sempre pensato che con un altro cantante la band sarebbe stata migliore. Ci si abitua velocemente. Riguardo a questo, consiglio a tutti di trasferirsi a New York, perché lì tutti ti dicono cosa pensano di te dopo un secondo. Non c’è nessun filtro. È molto salutare.

Crede che le sia costato farsi capire?
Molto. Come autore soffrivo, non solo perché era duro scrivere, ma perché sono molto timido. Ora non voglio più soffrire. Non farò un disco da solista, anche se non scarto l’idea di tornare sulla scena settantenne, come Leonard Cohen. Le persone prima mi dicevano: “Questa non è una canzone, non è pop”. Ora dicono che la mia non è scultura. Non conta. Confido nel mio istinto. Se sento che devo farlo, lo faccio, e poi analizzo se ha valore sufficiente per mostrarlo al mondo.

Dal 2005, Michael Stipe documenta i suoi esperimenti fotografici sul Tumblr Futurepicenter e si dedica alla scultura, soprattutto in bronzo. Una volta voleva essere Patti Smith, oggi torna a voler essere Brancusi, perché, prima di essere membro di una rock band, aspirava ad essere un artista. Si aggrappa al calendario della sua vita per spiegare che il suo non è un capriccio: «Ho iniziato la scuola d’arte prima che nascesse la band. Avevo 13 anni quando ho cominciato a scattare foto e 15 quando ho scoperto il punk rock attraverso il CBGB (un rock club di Manhattan aperto nel 1973 e chiuso nel 2006, ndr) e Patti Smith. Ormai ho 54 anni e non voglio comportarmi come quando ne avevo 28. Quando facevo musica trovavo soluzioni solo ogni tanto. Oggi, ogni mattina mi sveglio e trovo soluzioni a dei problemi. È un gran bel modo di iniziare la giornata.   

Pensa che i R.E.M. siano durati tanto perché, una volta ottenuto il successo, invece di comprare una Porsche vi siete presi un buon avvocato?  
(Ride) È vero! Siamo stati intelligenti, senza dubbio. Ma non ero io quello sveglio, erano gli altri tre. E poi siamo durati molto per passione, non per gli avvocati, che sia chiaro!.  

Cosa sarebbe accaduto se il successo fosse arrivato quando aveva 19 anni?  
Sarei morto. Devi essere molto forte per sopravvivere al successo, e io non lo sono.  

È stato complicato vedere che la maggior parte della gente per cui si esibiva era la stessa che votava il candidato che lei disprezzava, la stessa che l’avrebbe picchiato a scuola e che rappresentava tutto ciò contro cui lei si voleva ribellare?
È stato orrendo. Fino a quando ho scoperto di essere un artista “populista”. Oggi sono convinto che presentare qualcosa di sovversivo in seno all’arte popolare sia ciò che mi riesce meglio. In realtà ora lo dico con calma, ma quando, dopo sette o otto anni passati a negoziare la mancanza di popolarità, di colpo ti vedi davanti a milioni di esseri umani inneggianti che molto probabilmente in qualsiasi altra occasione ti avrebbero pestato, la prima cosa che pensi è che tutto ciò finirà male.  

Il passaggio dal rock alternativo al rock dei grandi stadi non è stato facile per Stipe. Mentre da un lato appariva disinvolto sul palco colpendo una sedia davanti a decine di migliaia di persone in un atto ispirato alla punk band di sinistra Gang Of, dall’altro soffriva il costante giudizio sulla sua sessualità. Ha trascorso quasi tutti gli anni 80 convinto di avere l’Aids, senza però osare sottoporsi al test, visto che esisteva un elenco pubblico con i nomi di chi l’aveva fatto. Fino al 1994 non ha parlato apertamente del suo orientamento sessuale («l’ho messo in chiaro allora e non voglio tornare a parlarne; dico solo che, da quando il mondo non è sessualmente binario, mi sento molto più a mio agio»). L’uomo che in passato colpiva sedie, ora si divertiva sedendo allo stesso tavolo di mezza Hollywood, spiegando i testi dei Radiohead a Patti Smith («“Di che cavolo parla? Dovrebbe piacermi?”, mi ha chiesto la prima volta che ha ascoltato Thom Yorke», racconta), facendo da padrino a Frances Bean Cobain, figlia del leader dei Nirvana e Courtney Love, o attraversando la Spagna a bordo di una Bentley assieme a Gwyneth Paltrow e allo chef Mario Batali, lo stesso che ha progettato la cucina del loft newyorkese messo in vendita l’anno scorso per quasi 11 milioni di dollari,  già proprietà di Gus Van Sant. Stava vivendo la vita a cui aspirava chi lo pestava a scuola, la stessa che disprezzava chi aveva acquistato il suo primo album. ‘Ci sono volte in cui è necessario fare un passo indietro e vedere che non è un sogno e che sei davvero all’interno di quel mondo che una volta concepivi come pura astrazione», interviene. «Poche settimane fa sono andato a un concerto benefico a New York: al mio tavolo c’erano David Byrne, Laurie Anderson e Brian Eno. Alla fine, sono solo persone. Oggi siamo in un hotel di Berlino con Kristen Stewart, e non succede niente. In teoria posso credere che sia un essere siderale, una creatura perfetta, ma in realtà posso avvicinarmi a lei, dirle: “Piacere, Michael” e informarla che la mia amica Patti Smith pensa che sia meravigliosa’.  

Crede che molta gente sia convinta che lei ha smesso di essere uno di noi per trasformarsi in una di quelle superstar distanti come Bono?  
La storia del rock straripa di persone stravaganti e smisurate, ma poi sono arrivati il punk e l’hip hop e hanno cambiato il mondo in meglio. Oggi non posso pensare a nessuno che non sia uno di noi. Per me, Kristen Stewart è solo una ragazza, e PJ Harvey una creatura strana, potente, sveglia… ma anche un comune mortale. I R.E.M. non sono mai stati una band cool: non volevamo cambiare e non l’abbiamo fatto.

Le manca essere uno di noi?
Se le dico che tornerò a casa in metrò, ho risposto alla sua domanda?.  

(Traduzione di Iblinkings.it)