Moscot: dalle origini fino ai nuovi occhiali per la primavera-estate 2019

Moscot: dalle origini fino ai nuovi occhiali per la primavera-estate 2019

di Silvia Perego

Da una bottega di quartiere, Moscot si è evoluto fino ad oggi, diventando un marchio di occhiali internazionale. Le costanti sono la maestria artigianale e gli occhiali senza tempo dalle linee minimali. Un’intervista per scoprire la sua storia e i suoi progetti futuri

Quella della famiglia Moscot è una di quelle storie appassionanti che devono essere raccontate in prima persona dai protagonisti stessi. Un po’ come una biografia condita di aneddoti, che inizia più di un secolo fa in una bottega di occhiali nel Lower East Side di Manhattan.

Dopo ben cinque generazioni, oggi, Moscot è un marchio internazionale riconosciuto per la qualità dei materiali, l’attenzione ai dettagli e il design dall’allure rétro che contraddistingue le sue montature. A raccontare questo successo americano ad Icon è il Dr. Harvey Moscot, presidente di Moscot e optometrista, con su figlio Zack Moscot, responsabile del design. 


Per comprendere il presente è necessario conoscere le origini…

H.M.: «Allora bisogna andare un po’ indietro nel tempo, fino all’inizio del ventesimo secolo. Nel 1899 il mio bisnonno Hyman Moscot, arrivò negli Stati Uniti dalla Polonia. All’epoca, il Lower East Side di Manhattan non era il quartiere che è oggi. Aveva prezzi accessibili, nei suoi palazzi vivevano architetti, artisti, musicisti, poeti e proprio in questo crocevia creativo decise di cominciare a vendere occhiali già pronti con il supporto di un carretto, ancora oggi simbolo del nostro brand. Conservo una sua foto, che lo ritrae con indosso un cappotto foderato in pelliccia troppo grande per lui. Non era suo, non se lo sarebbe potuto permettere. Il fotografo glielo prestò per questa fotografia, che sarebbe arrivata alla sua famiglia in Europa a testimonianza del fatto che emigrare a New York City era stata una buona idea».

E il fatto che, a parlarne oggi, ci siano la quarta e la quinta generazione, ne è la conferma. Ma qual’è stato il momento di svolta?

H.M.: «Ci è voluto tempo per crescere, è stato un percorso graduale. Il primo passo è stato l’apertura del negozio al 94 di Rivington Street nel 1915. Dal 2012 siamo all’altro angolo della strada, al 108 di Orchard Street ma abbiamo mantenuto il titolo de ‘La più antica istituzione ottica su Rivington Street”. Le persone ci riconoscono dalla grande insegna gialla e dal nostro iconico simbolo ‘eyes’ e così abbiamo voluto che ogni altro negozio rispettasse l’identità dell’originale. Per esempio, per l’apertura di Londra, alcuni pezzi di arredamento sono stati consegnati direttamente dall’America e lo staff ha seguito il nostro programma formativo proprio nella sede di NYC. E dopo l’apertura di Roma nel 2017, ora siamo concentrati su Milano, ma non è facile trovare il luogo giusto. Sfortunatamente non tutti i palazzi milanesi possono essere dipinti di giallo (scherza, ndr)».


Una parola, per descrivere cosa contraddistingue il vostro brand?

Z. M.: «Io credo che a differenziarci sia la nostra autenticità. Non abbiamo iniziato su internet, non siamo nati da un’idea di business che ha avuto successo. Chi ci conosce sa che abbiamo cominciato dalle nostre abilità, da quello che sapevamo fare meglio. Una storia alle spalle, oggi, ha un valore immenso. Progettiamo tutti i nostri occhiali a New York City e lo facciamo da cinque generazioni. Non accade di frequente e credo che si percepisca la passione che ci ha fatto procedere lungo nostra strada per più di 100 anni».

Quali sono gli elementi che caratterizzano ogni modello?

Z.M.: «Siamo conosciuti per le nostre montature in acetato come per quelle in metallo. Ma vale la pena soffermarsi su un aspetto importante: nei nostri occhiali non c’è niente che sia soltanto una decorazione, ogni cosa ha una sua utilità. Per esempio, sul modello Lemtosh – probabilmente il più iconico – i rivetti a forma di diamante sono reali e funzionali, il Clip-flip trasforma una montatura ottica in un occhiale da sole con una rotazione di 180 gradi e il nuovo occhiale Hamish presenta vere cable temple che avvolgono l’orecchio. Sono stanghette molto difficili da trovare, le persone non le conoscono o pensano che non siano confortevoli ma, se sono realizzate con precisione, sono le più comode da portare. Crediamo, inoltre, che una sola taglia di montatura non vada bene per tutti. Il ponte, la parte frontale del telaio che poggia sopra il naso, dev’essere della giusta larghezza e, ovviamente, più la montatura diventa grande, più le aste si devono allungare. Siamo molto attenti alla forma perfetta proprio per la nostra storia come ottici, infatti offriamo 4 misure diverse. Il nostro obiettivo è un occhiale su misura».


Ma non solo occhiali…

H.M.: «Non abbiamo ancora parlato della musica! Suono la chitarra da tutta la vita, sono stato un musicista per anni, ma non ho mai avuto una bella voce e così sono diventato un optometrista (ironizza di nuovo, ndr). Quando non c’erano clienti suonavo la mia chitarra in negozio e, un giorno, un amico che invece sapeva cantare bene è passato di lì e si è unito a me. Non sono mai entrate così tante persone. Oggi posso combinare la mia passione con il business. Ogni 3 mesi, il giovedì sera organizziamo un evento di musica live nel nostro store di Manhattan. È stato molto importante per il quartiere che, purtroppo, sta cambiando sempre di più. Il Lower East Side è sempre stato conosciuto per i suoi locali che ospitavano band e musicisti ma, adesso, ci sono sempre più ristoranti, bar, negozi e la vita artistica sta sparendo. Ma in questi anni, molti artisti emergenti sono stati ospiti dei nostri Live From The Shop e molti dei nostri clienti sono musicisti. Mi piace visitarli mentre parliamo di accordi e chitarre. Non a caso già nel 1966, Bob Dylan era entrato per comprare un nostro paio di occhiali».

La musica, quindi, come elemento di unione tra passato e presente:

Z.M.: «Infatti, portiamo questa profonda relazione con la musica anche nella nostra campagna per la collezione ss19. Girata su pellicola nel Lower East Side, incarna l’atmosfera creativa che ha caratterizzato la “The Bowery” negli anni 70 e 80. Immagini in bianco e nero, accompagnate da una musica strumentale dal ritmo frenetico, immortalano una coppia di giovani musicisti che guardano le strade di oggi ma, come allora, sempre attraverso le lenti Moscot».