Trame e segreti del capo principe del guardaroba maschile. Dai Celti ai nostri giorni, passando per invasioni barbariche, rivoluzioni, maschere teatrali

Come le oscillazioni di una borsa in periodo di crisi, così la lunghezza dei pantaloni non ha mai trovato requie nella storia dell’indumento maschile per eccellenza. Una storia travagliata, a partire dall’accettazione di questo capo che, nel mondo mediterraneo, è sempre sembrato una cosa da barbari, tanto che i romani ne facevano uso solo a determinate latitudini e solo per fini militari. Come a dire che i pantaloni possono essere utili quando fa freddo ma che l’eleganza era un’altra cosa. Come si sa, sono i barbari ad averla avuta vinta e non solo in fatto d’abbigliamento. La storia dei pantaloni era però cominciata molto tempo prima, nell’Asia centrale, quando i popoli di quelle aree avevano sviluppato un capo d’abbigliamento utile per stare a cavallo tutto il giorno. Dalla tarda antichità l’uomo ha dunque sempre portato i pantaloni e il problema è stato da quel momento la foggia e la lunghezza. Non solo, è stato un problema anche definire esattamente cosa fossero dei pantaloni. Nell’Italia medievale si confondevano con le calze e il termine “calzone” era la definizione più usata per i “panni da gamba”. Aderenti agli stinchi, a palloncino sulle cosce, corti al ginocchio, lunghi fino a terra, a zampa d’elefante. Le varianti sono state infinite ma per un grande sarto la lunghezza giusta dell’orlo rimarrà sempre quella che sfiora il tacco della scarpa.

DON’T! Nell’evoluzione del risvolto si è arrivati a un ragionevole compromesso: la scarpa viene sempre mostrata, per i più alla moda anche la caviglia (a quel punto, meglio nuda). Per non sbagliare: calzino ton sur ton.

testi e disegni di Giorgio Albertini