L’ex Birmania è un caleidoscopio di etnie, religioni, stili e colori tra mete più turistiche e altre meno note

La cosa che più colpisce in Myanmar, oltre alle meraviglie come templi, pagode, stupa, paesaggi, monasteri e architettura coloniale, sono le persone, con la loro benevolenza, i sorrisi e l’autenticità. Pur essendo un paese in cui il 99,9% delle persone non capisce l’inglese, ci si sente a casa.

Il Paese è un collage di stati ed etnie diverse: il nome Birmania deriva da Buma, ossia l’etnia dominante, ma ci sono almeno altre 130 etnie, tra cui Shan, Mon, Arabi e altri ancora. Oltre ad essere uno dei Paesi più multietnici del mondo, è anche multi-religioso. Nella sola Yangon, si trovano pagode a fianco di templi hindu, chiese cattoliche, moschee e sinagoghe.

Il cambiamento in atto è sulla faccia delle persone: la giunta militare sta lasciando posto alle forze democratiche; le poche persone che parlano inglese parlano di Aung San Suu Kyi con gli occhi lucidi, chiamandola ‘The mother’ o ‘The lady’. Finora sono stati i monaci l’unica vera opposizione del Paese in grado di far paura alla giunta militare. In tutto il paese ce ne sono circa 500.000 su una popolazione totale di 50 milioni; le monache sono circa 70.000.

Le mete completamente aperte al turismo sono ancora poche. Mentre il nord del Paese è ancora chiuso a causa delle lotte intestine e dei movimenti indipendentisti, tra le mete più note ci sono Yangon, a lungo capitale del paese, caratterizzata da una commistione di stili, colori e odori; il lago Inle, con i suoi mercati galleggianti, le pagode in rovina e i monasteri; il palazzo imperiale di Mandalay; il Mount Popa, abitato da centinaia di scimmie; e la zona di Hsipaw, battuta da un turismo più naturlistico.

Oltre a scoprire i luoghi, altrettanto interessante è scoprire gli usi e costumi degli abitanti. Donne e bambini, per esempio, usano il Thanaka, ovvero una crema protettiva che si cospargono su guance e fronte con motivi determinati dall’etnia; caratteristica degli uomini, invece, è la gonna Longyi, che viene accostata alla camicia a maniche corte, eredità del colonialismo britannico. Frequenti i tatuaggi con simboli buddhisti, soprattutto tra i monaci. È usanza tatuarsi tre puntini in varie zone del corpo come protezione rituale dalla puntura dei serpenti.

Nella gallery le mete più battute accanto ad altre meno note.

(Ha collaborato Fabio Petronilli)