L’ex Birmania è un caleidoscopio di etnie, religioni, stili e colori tra mete più turistiche e altre meno note
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Da Nyaung Shwe partono le barche che portano ai villaggi su palafitta, ai mercati e agli orti galleggianti, alle pagode in rovina e ai monasteri dove vivono monaci eremiti e piccoli novizi sul lago Inle
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A Yangon, per lungo tempo la capitale del paese, gli elementi asiatici si mischiano all’architettura fatiscente post-coloniale e alla pagode dai tetti dorati. La più grande è la Shwedagon Paya, 100 metri di altezza per 500 kg di oro
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I pellegrini comprano piccole lamelle di oro per rivestire la miriade di statue di Buddha ai piedi dello stupa, il monumento buddhista. Yangon si caratterizza per la varietà caleidoscopica di culti religiosi. Ai piedi dei Buddha i pellegrini lasciano banconote, ma nessuno di sogna di rubarle
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Il lago Inle è una delle mete più battute del Myanmar. Le mete aperte al turismo sono, infatti, ancora poche. Grande e indefinito, le sue sponde si confondono con le paludi circostanti
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I monaci e i novizi vivono di sole offerte, studiando e meditando in stanze di legno sul lago. Si svegliano alle 4, pregano per un’ora, poi vanno scalzi in centro a chiedere le offerte ai fedeli. Nel paese sono venerati e supportati in quanto sono l’unica vera forza politica e spirituale dell’opposizione
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A Mandalay si trova l’ex palazzo imperiale ricostruito nel Novecento dop che è stato distrutto dal terremoto
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Sulla collina di Mandalay c’è un sito definito “Il libro più grande del mondo” con centinaia di stele con incisi i testi sacri del Buddhismo inseriti in altrettanti stupa
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U Bein Bridge è il ponte sospeso in teak più lungo del mondo. Ogni giorno centinaia di locali e turisti lo usano per attraversare il lago
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La zona di Hsipaw, a nord-est del paese, vicino al confine cinese, è meta di un turismo responsabile e naturalistico. Ci si arriva prendendo un treno da Mandalay che va a 20km orari e passa sul famoso Goitek Viaduct, un ponte altissimo scricchiolante di ferro battuto
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Un laboratorio di produzione di noodles nella regione dello Shan, che poi vengono commerciati in Cina
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Nei villaggi tradizionali Shan si vive come nei secoli passati: la vita scorre lenta e si coltiva per lo più risaie nelle quali vengono fatti pascolare il bestiamo. Nei villaggi vivono anche i monaci scalzi che una volta l’anno salgono sulle torrette a benedire il villaggio
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L’ordine dei monaci comprende anche le donne, le quali vivono in monasteri a parte e indossano tuniche rosa e copricapo di foglie di bamboo
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Le pagode di Bagan non sono solo monumenti, bensì templi ancora attivi in cui i monaci meditano noncuranti dei turisti
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Bagan è la meta più famosa del Myanmar. È una piana vastissima piena di stupa e pagode in rovina, un posto è incredibile, soprattutto se visto al tramonto e dall’alto
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Un tempio di Bagan
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Fuori dagli stupa, che distano tra loro anche alcuni chilometri, la vita rurale prosegue uguale, con mandrie di mucche che pascolano a pochi metri
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Sul Mount Popa vivono centinaia di scimmie, vere “padrone” del monte
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Il Mount Popa
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Arroccato sul Monte Popa c’è un monastero imponente dedicato al culto dei “Nat”, gli spiriti della tradizione pre-buddhista
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Mawlamyine è una città a sud-est del paese, vicino al confine thailandese. È famosa per aver ospitato per qualche anno Rudyard Kipling, che ha scritto bellissime parole sull’atmosfera di decadenza coloniale che si respira
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A Win Sein Taw Ya si arriva in moto con un viaggio di circa un’ora da Mawlamyine, passando per la campagna e villaggi rurali
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Di fronte a Win Sein Taw Ya stanno costruendo un altro Buddha. La costruzione è finanziata attraverso la vendita di piastrelle “benedette” dai monaci ai pellegrini. Le piastrelle saranno poi posizionate quando il Buddha sarà pronto
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Lungo 170 metri, Win Sein Taw Ya è più grande Buddha disteso del paese
La cosa che più colpisce in Myanmar, oltre alle meraviglie come templi, pagode, stupa, paesaggi, monasteri e architettura coloniale, sono le persone, con la loro benevolenza, i sorrisi e l’autenticità. Pur essendo un paese in cui il 99,9% delle persone non capisce l’inglese, ci si sente a casa.
Il Paese è un collage di stati ed etnie diverse: il nome Birmania deriva da Buma, ossia l’etnia dominante, ma ci sono almeno altre 130 etnie, tra cui Shan, Mon, Arabi e altri ancora. Oltre ad essere uno dei Paesi più multietnici del mondo, è anche multi-religioso. Nella sola Yangon, si trovano pagode a fianco di templi hindu, chiese cattoliche, moschee e sinagoghe.
Il cambiamento in atto è sulla faccia delle persone: la giunta militare sta lasciando posto alle forze democratiche; le poche persone che parlano inglese parlano di Aung San Suu Kyi con gli occhi lucidi, chiamandola ‘The mother’ o ‘The lady’. Finora sono stati i monaci l’unica vera opposizione del Paese in grado di far paura alla giunta militare. In tutto il paese ce ne sono circa 500.000 su una popolazione totale di 50 milioni; le monache sono circa 70.000.
Le mete completamente aperte al turismo sono ancora poche. Mentre il nord del Paese è ancora chiuso a causa delle lotte intestine e dei movimenti indipendentisti, tra le mete più note ci sono Yangon, a lungo capitale del paese, caratterizzata da una commistione di stili, colori e odori; il lago Inle, con i suoi mercati galleggianti, le pagode in rovina e i monasteri; il palazzo imperiale di Mandalay; il Mount Popa, abitato da centinaia di scimmie; e la zona di Hsipaw, battuta da un turismo più naturlistico.
Oltre a scoprire i luoghi, altrettanto interessante è scoprire gli usi e costumi degli abitanti. Donne e bambini, per esempio, usano il Thanaka, ovvero una crema protettiva che si cospargono su guance e fronte con motivi determinati dall’etnia; caratteristica degli uomini, invece, è la gonna Longyi, che viene accostata alla camicia a maniche corte, eredità del colonialismo britannico. Frequenti i tatuaggi con simboli buddhisti, soprattutto tra i monaci. È usanza tatuarsi tre puntini in varie zone del corpo come protezione rituale dalla puntura dei serpenti.
Nella gallery le mete più battute accanto ad altre meno note.
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