Una “giungla popolata da strane creature”: Alessandro Melis presenta il Padiglione Italia

Una “giungla popolata da strane creature”: Alessandro Melis presenta il Padiglione Italia

di Digital Team

Dal 22 maggio al 21 novembre 2021, Venezia ospiterà la 17. Mostra Internazionale di Architettura. Slittata di un anno a causa della pandemia, la kermesse esaminerà il tema “How will we live together?”. Il Padiglione Italia è curato dall’architetto e ricercatore Alessandro Melis

Full Professor of Architecture Innovation (UK) alla University of Portsmouth e Direttore del Cluster for Sustainable Cities, Alessandro Melis è stato nominato curatore del Padiglione Italia alla 17. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia nel marzo 2019. Già Head of Technology e Director of the Postgraduate engagement presso la School of Architecture and Planning della University of Auckland, co-direttore del programma Brain City Lab, alla University of Applied Arts Vienna, Guest professor alla Anhalt University Dessau, Honorary Fellow alla Edinburgh School of Architecture, e membro dell’Academic Body della Foster Foundation (Imagining Futures), Melis è co-fondatore dello studio Heliopolis 21 Architetti Associati, con sede a Pisa. Al suo lavoro è dedicato il recente volume monografico Alessandro Melis. Utopic Real World; uscito nel settembre 2020, ZombieCity. Strategie urbane di sopravvivenza agli zombie e alla crisi climatica è il suo ultimo saggio.

A pochi giorni dall’avvio del semestre della kermesse lagunare, diretta in questa edizione dell’architetto Hashim Sarkis e dedicata al tema How will we play together?, lo abbiamo incontrato per un’anticipazione su Comunità resilienti/Resilient Communities, il progetto curatoriale con cui l’Italia prende parte all’atteso appuntamento, accendendo i riflettori sui meccanismi di resilienza delle comunità e sul cambiamento climatico. Nel segno dell’interdisciplinarietà e dell’ascolto di decine di voci ed esperienze.

Un ritratto dell'architetto Alessandro Melis
Photo Barbora Melis

Siamo alla vigilia dell’apertura della Mostra Internazionale di Architettura di Venezia e del Padiglione Italia da te curato. Lo hai, paragrando il titolo, come una ‘comunità resiliente’. Come intendi con questa formula?

Immaginando che il padiglione dovesse essere un laboratorio, più che una mostra, non potevamo esimerci da considerare il padiglione stesso comune una piccola comunità, con una struttura meno verticistica rispetto ad una curatela tradizionale. Più in generale con la parola ‘comunità’ ho voluto porre al centro della discussione l’unità minima di coesione sociale, anzichè la sovrastruttura a cui pensiamo, a volte a prioriristicamente, come architetti. In questo contesto resilienza significa anche le comunità devono anche essere pronte al cambiamento. In tempi di crisi ambientali globali, si può cambiare in meglio o in peggio. Ma certamente non cambiare implica solo il peggio. Ogni installazione, quindi riflette una realtà che, secondo i principi della ‘Niche Construction’ non è statica, e neanche progressiva. È semplicemente fluttuante e dominata dalle inafferrabili leggi della termodinamica.

Per l’allestimento di Comunità resilienti avete scelto di impiegare parte di materiali provenienti dal Padiglione Italia 2019 della 58. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, invitando in parallelo i progettisti invitati a ideare dispositivi identificati con l’appellativo di ‘spandrel’. Di cosa si tratta? Cosa puoi anticiparci in merito alle peculiarità del percorso espositivo?

Tra gli anni Sessanta e i Duemila alcuni biologi hanno inteso sfidare ed estendere la tassonomia tradizionale sull’adattamento evidenziando che, in natura, esistono strutture senza funzioni e in grado di acquisire nuove funzioni. Queste strutture, si chiamano ‘spandrel’ e costituiscono un serbatoio di resilienza (cioè di possibilità) indispensabile quando le condizioni ambientali mutano rapidamente ed imprevedibilmente. Abbiamo quindi trattato le strutture della precedente mostra come ‘spandrel’. Ogni installazione, lungo il percorso, è progettata per rispondere ad un determinato programma funzionale, e, allo stesso tempo, e le sue forme (come in biologia gli organismi) devono essere caratterizzate da diversità, variabilità e ridondanza tali, da consentire l’adattamento  a condizioni ambientali imprevedibili. L’installazione che si chiama Spandrel, per esempio, era inizialmente pensata come un albero artificiale che prendeva in prestito, per il tronco, la coda xenomorfica di Alien. Le sfere che simulavano le sue uova, grazie al controllo dell’umidità e della luce, al loro interno, sono poi diventate una banca del seme di specie alimentari che provengono dalla collezione dell’Orto Botanico di Padova, il più antico del mondo.


Team curiatoriale – Heliopolis 21

Transdisciplinarità, Exaptation; Niche Construction sono fra i concetti alla base della ‘struttura curatoriale’ del Padiglione Italia. Data la loro specificità, a livello comunicativo su cosa cercherete di fare leva per provare a raggiungere un’audience ampia?


Non intendiamo semplificare la complessità della ricerca. Vogliamo però squarciare quel velo di sacralità che talvolta la accompagna. Manga come Ghost in the Shell o Attack on Titan, contribuiscono benissimo a spiegare i concetti della biologia dell’eveoluzione. Si potrebbe dire che sono essi stessi una exaptation. Nei wargame tridimensionali, come Infinity, l’ambientazione scientifica, di ispirazione cyberpunk, offre letture di uno scenario futuro non meno accurate o probabili di quelle ispirate al determinismo della pianificazione convenzionale. Altrettanto si potrebbe dire delle ricercehe di Kip Thorne, il fisico che ha contribuito al successo di Interstellar. D’altra parte è proprio la ricerca, in questo caso in paleoantropologia, a dirci che la nostra creatività dipende dalla modalità associativa di pensiero. In questo senso arte, scienza e tecnologia sono la stessa cosa.

Con lo studio di architettura di cui sei socio fondatore, Heliopolis 21, hai da poco ultimato il ‘Polo della Memoria’ nel centro storico di Pisa. Quali sono i caratteri distintivi dell’intervento? 

Il Polo SR1938 accoglie, negli stessi spazi l’università, un memoriale destinato alle vittime della Shoah, un giardino e una piazza coperta disegnati. In questa contaminazioni di usi, ispirati all’Agenda 2030 della Nazioni Unite, convergono i gol ambientali e quelli riguardanti la giustizia sociale. Tra venti anni l’edificio potrebbe anche essere qualcos’altro. Per questo, anche la sua espressività è affidata ad un esoscheletro strutturale, altamente performante sia dal punto di vista sismico che termico, capace di rendere l’interno riconfigurabile in ogni momento. Anche la totale assenza di intonaco, cornici e decorazioni, più che un richiamo stilistico al minimalismo, esprime la volonta di ridurre l’energia grigia, in favore di una ottimizzazione del ciclo di vita dell’edificio.

Quali sfide pone il confronto con un contesto storico fortemente caratterizzato come quello in cui avete operato, ovvero fra le mura duecentesche pisane e la celebre Torre?

Visto il contesto storico, abbiamo studiato gli allineamenti, le proporzioni degli edifici circostanti e delle aperture, e l’alternanza dei vuoti e dei pieni delle mura. Abbiamo cercato quindi di distillare i caratteri del contesto per estrarne l’essenza, senza però indulgenere nel mimetismo.