5 film per conoscere l’Ucraina
Foto: Biennale di Venezia

5 film per conoscere l’Ucraina

di Simona Santoni

Da “Reflection” a “Olga”, cinque spaccati di Ucraina. Drammi che ci portano all’origine della guerra in corso, nel Donbass, storie di violenza soffusa, ma anche un doc che, grazie al potere catartico dall’arte, apre alla speranza

Mariupol, Volnovakha, Chernihiv… In questi giorni di guerra in Europa, in cui impariamo nostro malgrado la geografia dell’Ucraina che sta difendendo le sue città dall’invasione russa, vogliamo cercare di conoscere meglio questo Paese sul Mar Nero che, paradossalmente, ha nella sua bandiera un messaggio di armonia: blu come il cielo in simbolo di pace, giallo come i campi di grano segno di prosperità.
Lo facciamo attraverso il cinema, attraverso lo sguardo di sensibilità ucraine che già sentivano rumori di fucili e barbarie.

Reflection (2021) di Valentyn Vasjanovyč

È questo il film per tornare al cinema e per capire meglio da dove è partito il vortice di guerra che si avvicina sempre più a Kiev. Presentato in concorso all’ultima Mostra del cinema di Venezia, Reflection (ovvero Riflesso, titolo originale Vidblysk) del regista, sceneggiatore e montatore cinquantenne Valentyn Vasjanovyč, è stato il primo film ucraino in corsa per il Leone d’oro a Venezia. Ora, il 18 marzo, esce nelle sale italiane. E ancor prima, in segno di solidarietà con i cineasti e tutto il popolo ucraino, è proposto in tre proiezioni gratuite a Roma, Milano e Venezia.

In Reflection il chirurgo ucraino Serhiy (interpretato da Roman Lutskiy) viene catturato dalle forze militari russe durante la guerra del 2014 nel Donbass, nell’Ucraina orientale. Mentre è prigioniero assiste a spaventose scene di umiliazione, violenza e indifferenza verso la vita umana. Dopo il rilascio, rientrato a Kiev, tenta con fatica di tornare alla quotidianità dedicandosi a ricostruire i rapporti con la figlia e l’ex moglie.
Una delle scene rimaste negli occhi: un camion con la scritta “Aiuti umanitari della Federazione Russa” e dentro un inceneritore di cadaveri ucraini.

L’orrore e la violenza disumana della guerra sono presenti anche nel precedente film di Vasjanovyč, Atlantis (Atlantyda), premiato come miglior film nella sezione Orizzonti alla Mostra di Venezia 2019, ambientato in un futuro molto prossimo in Ucraina orientale, diventata dopo la guerra un deserto inadatto alla presenza umana, segnata dal punto di vista ecologico e ambientale. Qui un ex soldato, che soffre di stress post-traumatico, tenta di adattarsi alla nuova realtà specializzandosi nel recuperare cadaveri di guerra.

Olga
Foto: Festival di Cannes / Point Prod
Immagine del film “Olga”

Olga (2021) di Elie Grappe

Applaudita opera prima del giovane regista francese Elie Grappe, già premiata alla Semaine de la Critique del Festival di Cannes 2021 e candidato dalla Svizzera per l’Oscar come miglior film straniero, ad Alice nella Città, alla Festa del cinema di Roma, ha avuto una Menzione speciale «per aver saputo conciliare in modo sorprendente la rappresentazione cinematografica di un’aspirazione sportiva individuale con la tragicità degli eventi accaduti in Ucraina, senza mai virare nella lettura documentaristica». Un film tra sport e politica.

Siamo nel 2013: protagonista è una ginnasta ucraina di 15 anni interpretata da una vera atleta, Anastasia Budiashkina, ex nazionale ucraina (ha rappresentato l’Ucraina agli Europei giovanili 2016). La ragazza è divisa tra il suo sogno di partecipare alle Olimpiadi e le vicende che coinvolgono il suo Paese e sua madre. Si trova in Svizzera, dove si sta allenando per gli Europei, mandata presso i parenti paterni, al sicuro, dopo che la madre è scampata a un attentato. Ma intanto la mamma, giornalista anti-governativa, è in Ucraina e si occupa di Euromaidan, le violente manifestazioni pro-europee che sfociarono nella rivoluzione ucraina del 2014 e portarono alla fuga dell’ex presidente ucraino pro-Russia Janukovyč.

Rinoceronte
Foto: Biennale di Venezia
Immagine del film “Rinoceronte”

Rinoceronte (2021) di Oleh Sentsov

Presentato nella sezione Orizzonti dell’ultima Mostra del cinema di Venezia, Rinoceronte (titolo originale Nosorih) è ambientato nell’Ucraina degli anni Novanta. Qui un giovane soprannominato “Rhino”, dopo aver iniziato la carriera come ladruncolo, scala rapidamente la gerarchia del crimine. Rhino ha conosciuto solo il potere e la crudeltà ma, non avendo più niente da perdere, potrebbe avere finalmente un’occasione per redimersi?

«Questo non è un film incentrato su criminalità, omicidi e sparatorie. È la storia di un uomo che ha vissuto un periodo di difficoltà e che ora porta un fardello interiore con il quale sta cercando di fare i conti», aveva detto il regista a Venezia. E vale la pena soffermarsi proprio sul regista: Oleh Sentsov, originario della Crimea, penisola contesa fra Russia e Ucraina, in seguito alla sua partecipazione alle proteste di piazza Majdan a Kiev è stato arrestato, l’11 maggio 2014, con l’accusa di aver complottato per organizzare atti terroristici e condannato dalla corte russa a 20 anni di prigione. Per la sua liberazione c’è stata una mobilitazione internazionale: si sono mossi registi europei come Pedro Almodóvar, Ken Loach e Wim Wenders, nel 2018 il Parlamento Europeo gli ha attribuito il Premio Sakharov per la libertà di pensiero.
Nel 2019 è stato scarcerato nell’ambito di uno scambio di prigionieri tra Ucraina e Russia.

Rinoceronte, per Sentsov, era quindi un film urgente e necessario, che doveva essere girato nel 2014; fotografa una violenza a cui le istituzioni sembrano far poco caso.

The Tribe
Foto: Officine Ubu
Immagine del film “The Tribe”

The Tribe (2014) di Myroslav Slaboshpytskiy

Violenza sembra essere il fil rouge delle voci che arrivano dall’Ucraina, anche quando non si parla apertamente di guerra. The Tribe (titolo originale: Plemya) dell’ucraino Myroslav Slaboshpytskiy, vincitore del Gran Premio della Semaine de la critique a Cannes 2014 e Miglior rivelazione agli European Film Awards, è uno spaccato di gioventù e disagio. È l’affresco crudissimo della vita all’interno di un collegio ucraino per ragazzi sordomuti, percorso da leggi quasi tribali e da una brutalità spiazzante. È recitato interamente da sordomuti, privo di dialoghi e sottotitoli. Senza voci ma concitato e dirompente.

Sergey (interpretato da Grigoriy Fesenko), nuovo arrivato nell’istituto, deve lottare per conquistare il proprio spazio. Coinvolto in una serie di furti, si guadagna presto la fiducia dei compagni. Ma l’amore per la giovane prostituta Anya (Yana Novikova) lo porterà a infrangere pericolosamente tutte le regole del branco.

Tutti gli interpreti sono ragazzi di strada, la maggior parte proveniente da famiglie povere e svantaggiate.
Tra i produttori c’è Valentyn Vasjanovyč, il regista di Reflection e Atlantis. 

The earth is blue as an orange
Foto: Biografilm Festival
Immagine del film “The earth is blue as an orange”

The earth is blue as an orange (2020) di Iryna Tsilyk

Documentario della regista ucraina trentanovenne Iryna Tsilyk, premiato al Sundance Film Festival per la miglior regia nella categoria World Cinema Documentary e presentato al Biografilm Festival di Bologna 2020, The earth is blue as an orange (Zemlia blakytna niby apel’syn) è una testimonianza che arriva direttamente dal conflitto sui confini dell’Est e, al contempo, un esempio del potere catartico del cinema.

Hanna, madre single, insieme ai suoi quattro figli, vive al confine della zona di guerra di Donbass, in Ucraina. Nonostante il mondo esteriore sia pieno di bombardamenti e di caos, la loro casa resta un rifugio sicuro, pieno di gioia e di vitalità. La passione di tutti i membri della famiglia per il cinema, li spinge a filmare alcune scene della propria vita quotidiana durante il periodo di guerra. Per Hanna e i suoi bambini, la conversione del trauma in arte è il modo migliore per rimanere umani.