In conversazione con Bob Sinclar: dai club alla scena internazionale

In conversazione con Bob Sinclar: dai club alla scena internazionale

di Giovanni Ferrari

Il DJ e produttore francese ha appena pubblicato una nuova versione insieme a Quinze del successo degli anni Ottanta “Never Knew Love Like This Before” di Stephanie Mills. Lo abbiamo incontrato e ci siamo fatti raccontare come è nato il suo rapporto con la musica. Ma anche una sua opinione su quanto sta accadendo in Francia in queste ultime settimane…

Il suo nome è veramente leggenda. Bob Sinclar può essere tranquillamente considerato come il padre della musica dance del terzo millennio. E la consapevolezza della sua incisività nel panorama musicale internazionale sembra non aver per nulla modificato il suo primordiale amore per il suono. E, soprattutto, per il momento in cui una folla diventa un corpo unico, disposto a ballare senza limiti.

Il produttore e DJ ha appena pubblicato una cover del successo degli anni Ottanta Never Knew Love Like This Before di Stephanie Mills. Brano vincitore di un Grammy nel 1981 come “Miglior Canzone R&B Blues”. Lo ha fatto con l’artista francese Quinze. E con l’entusiasmo dei suoi inizi.

Cosa voleva esprimere con questa nuova versione?

«Questa canzone per me è un inno alla danza. È sinonimo di festa. Porta delle vibes positive. Mi ricorda che le persone negli anni Settanta e Ottanta avevano una gran voglia di ballare, di andare nei club. Anche oggi, così come allora, non c’è bisogno di soffermarsi su cose tristi. Bisogna accendere la radio e ballare».

E come ha scovato Quinze?

«L’ho scoperto su Instagram. Canta benissimo. E fin da subito ho pensato che fosse perfetto per questa versione che avevo in mente».

È convinto di avere una missione nella vita: far ballare le persone. È cambiato qualcosa in questi ultimi anni da questo punto di vista? O sente questa stessa vocazione?

«Sono fortemente convinto che il messaggio che mi è stato donato sia quello di fare ballare la gente e portare leggerezza. Dopo il periodo tremendo del Covid ora si parla di guerra, di crisi migratorie. Siamo sempre pieni di pensieri e di tristezza. Io amo l’idea che si possa andare in un luogo comunitario, quello della musica, nel quale tutti possono entrare. Senza una selezione all’ingresso che controlli religione, origini e colori».

Quando si è accorto per la prima volta di questo legame viscerale nei confronti della musica?

«Ero in casa da solo, con i miei vinili. È proprio come quando ci si imbatte in un’opera d’arte al museo: si può sentire una connessione autentica con ciò che si vede oppure non si può sentire nulla. La stessa cosa succede con la musica. Per me è stato un colpo di fulmine immediato».

Ha parlato dell’arte. Ed effettivamente anche questa è una sua grande passione. Soprattutto quella moderna. Influisce nella sua ricerca musicale?

«Certamente. Amo l’arte che deriva dalla cultura hip-hop. Io ero appassionato di musica rap e tutto il movimento hip-hop comprendeva anche una forte componente artistica. Adoro tutta l’arte che è nata tra la metà degli anni Settanta e i Novanta. La considero come un momento fondamentale della storia… Fa parte della cultura».

È anche un’icona fashion. C’è uno stilista in particolare per il quale desidererebbe sfilare?

«Non sono un modello, anche se mi è capitato di farlo in passato. Ma se dovessi scegliere un nome sarebbe quello di Hedi Slimane. Ha lavorato con i più grandi nomi della moda. Sarebbe un onore. In ogni caso della moda adoro soprattutto il vintage. Le t-shirt degli anni Settanta e Ottanta sono sempre più di tendenza. Oggi tutti vogliono capi unici. Ed è importante questo momento nella moda perché obbliga tutti a una corresponsabilità nei confronti del prodotto».

E magari questa ricerca di unicità può anche tradursi in una maniera differente di fare musica, andando a ripescare sample del passato, dando loro una nuova vita…

«Esattamente. Cerco di farlo anche nella mia musica. Sa cosa? È anche bello poter lasciare alle nuove generazioni un’eredità a livello musicale. Ci sono molti giovani che non conoscono grandi nomi del passato. Ed è bello spingerli a farlo».

Qualche anno fa mi aveva confessato: «Ho capito che ci può essere una spiritualità nei brani». Crede in Dio?

«Credo in un’energia suprema che dirige la mia vita. Con la nostra vita abbiamo la possibilità di gestire questa energia. Se tu dai energia alla tua vita, l’energia suprema ti porterà verso ciò che desideri. Ognuno ha il proprio Dio ma bisogna essere riconoscenti ogni giorno di tutto ciò si ha».

In occasione degli Open di Francia si è esibito al mitico campo del Roland Garros. Che emozione è stata, visto che è un grande appassionato di tennis?

«È stato molto molto emozionante. Lì hanno giocato i più grandi campioni. Era il giorno prima dell’apertura del torneo e si trattava di una giornata dedicata ad alcune associazioni per ragazzi».

In Italia il suo nome è fortemente legato a quello di Raffaella Carrà… Che ricordo ha di lei?

«Quando ho fatto il disco non conoscevo la notorietà incredibile di Raffaella. Inizialmente ho fatto un sample di A far l’amore comincia tu e l’ho suonato nei club: mi sembrava molto forte. Poi l’ho conosciuta e le ho proposto di farne una nuova versione. L’idea era quella di farla cantare, in modo da creare un link tra passato e presente. Raffaella era molto sensibile all’energia delle persone. Ecco perché lavorava sempre con le stesse. È stata un’esperienza fantastica lavorare con lei. Siamo andati in studio insieme e lei ha cantato come la prima volta».

Questo è un momento molto delicato per la Francia. Da tutto il mondo stiamo guardando quello che succede, tra gli scioperi contro la riforma delle pensioni e numerose violenze nelle città. Che opinione si è fatto a riguardo?

«Noi siamo in Europa. La Banca Centrale Europea e Bruxelles danno delle direttive ai nostri paesi. Il governo francese, quindi, dirige il Paese. Ma senza mai consultare le persone. Le decisioni sono spesso prese in maniera unilaterale. Il governo è lontano anni luce dai poveri. Penso che sia necessario ascoltare la strada. Bisognerebbe comunicare di più».