L’American Utopia di David Byrne, dadaista del Nuovo Millennio

L’American Utopia di David Byrne, dadaista del Nuovo Millennio

di Andrea Giordano

American Utopia (edito La Nave di Teseo) è il nuovo libro di David Byrne, con le illustrazioni di Maira Kalman. Un viaggio di parole e immagini: dall’album allo spettacolo di Broadway, dal documentario di Spike Lee a questa nuova lettura, piena di colori e suggestioni.

Artista, musicista, scrittore, probabilmente molto di più nelle sfaccettature nello spirito, nella propria visione. David Byrne, l’ex frontman dei Talking Heads, torna a raccontare, e a raccontarsi, ma questa volta il tour immaginario è fatto di parole (le sue e delle canzoni) e 150 illustrazioni (quelle dell’artista israeliana Maira Kalman) nell’ultima tappa del viaggio legato ad American Utopia (edito da La Nave di Teseo, e tradotto da Chiara Speziali). Un viaggio, nato prima come album, il decimo, uscito nel 2018 (realizzato con Bryan Eno), diventato poi spettacolo all’Hudson Theatre di Broadway nel 2019, e infine ispirazione creativa nel documentario di ripresa live, diretto-prodotto da Spike Lee per HBO, David Byrne’s American Utopia.

Scozzese di nascita, newyorchese adottivo (dal 1974), Byrne è di fatto uno dei pochi, veri, personaggi, rimasti nel panorama culturale in grado di mixare linguaggi e simboli, un dadaista del Nuovo Millennio verrebbe da dire, capace oltremodo di esaltare, nella musica, come nel tratto grafico, verbale, l’istinto primordiale, infantile, sperimentale, usando il colore, il disegno imperfetto, per parlare di connessione e futuro. “Tutto cambia, tutto si ferma”, l’incipit del libro parla chiaro, ma subito i colori, i pastelli, virano, si alternano ai frammenti di parole a matita, alle frasi, apparentemente senza un filo conduttore, ma che in realtà nascono e crescono gradualmente, venendo fuori alla distanza: è una speranza positiva, sincera.

È una confusione, un caos, un desiderio, un sincero appello per ritrovare anche le proprie radici. Quelle radici, alberi, già al centro di un altro bellissimo libro, Arboretum, che qui tornano, in maniera diversa, mescolandosi ai volti, ai gesti semplici (gli abbracci ritrovati), le mani, ai luoghi. Una mappatura delll’America, dal Kansas al Colorado, dall’Alaska al Nuovo Messico. citando piccole comunità, che diventano evocazioni, ricordi: Good Intent, Last Chance, Nogales, Two Egg, Bullfrog, Truth or Consequences, o Selma, in Alabama, da dove partì, fino a Montgomery, la famosa marcia per i diritti civili guidata da Martin Luther King.

Byrne dunque condivide, rinnova ed evolve lo spirito, lotta contro il cinismo, parla di pace e amore, di libertà e inclusione, di compassione, sentimenti, emozioni, tradottisi a ritmo di percussioni, in performances, coreografie, insieme ad altri undici musicisti, nell’esibizione dal vivo, a teatro: un concerto, una performance art, a colpi di passi e apparecchiature wireless. Sul palco, come su carta ora, mette in scena soprattutto una forma di verità, una ricerca della felicità, priva di schermi, accessibile però a dosi, sfogliando un taccuino di raccordo, di memorie e diagrammi, di colori semplici, ma avvolgenti, gli stessi di quel sipario e scenografia. Sogna l’Utopia, e nel suo piccolo microcosmo la trova. Cita la Ursonate di Kurt Schwitters, poeti come Hugo Ball, ripercorrendo visivamente movimenti, espressioni, danze, spingendo a cantare e ballare, a non sprecare davvero neanche un attimo, a vivere, con leggerezza.

American Utopia è un’esperienza appagante, sui legami umani e il ruolo dell’individuo, sul richiamarci alla gentilezza e all’immaginazione, senza dimenticare di osare e nel provare strade diverse. “Il mondo non finirà, cambierà soltanto nome”, dice l’artefice di This Must The Place (titolo che ha ispirato pure un film di un “fan” come Paolo Sorrentino, ma “diamoci tempo per capire il futuro” perché “nonostante tutto quello che è avvenuto, nonostante tutto quello che sta avvenendo, penso ci sia ancora una possibilità, siamo ancora in evoluzione. Non siamo immobili, le nostre menti possono cambiare. Ciò che siamo, fortunatamente, va oltre di noi… Arriva alle connessioni tra tutti”.